Verolavecchia oltre sogni e categorie. "Il calcio è felicità. Lo viviamo in gruppo una stagione alla volta"

“Qui si sta bene. Ci piace vivere di anno in anno, mantenendo i piedi per terra e divertendoci. Quando entriamo in campo, come è giusto che sia, vogliamo vincere, ma i nostri successi più importanti sono quando tutti i nostri ragazzi sono felici, quando a cena non manca nessuno, quando a fine anno siamo gli stessi che avevano iniziato il percorso”.

In una manciata di righe si può trovare l’essenza del Verolavecchia, realtà intrisa di passione autentica e genuinità, che fa dell’armonia del gruppo il suo habitat naturale. Ce l’ha raccontata il presidente Maurizio Azzini, affiancato dai più stretti collaboratori.

“Dal punto di vista sportivo siamo reduci da un’annata brutta, iniziata male e finita malissimo, con la retrocessione in Terza Categoria. Temevamo di dover rifondare completamente la squadra, ma l’entusiasmo si è riacceso in fretta. Molti giocatori hanno deciso di restare, rifiutando anche proposte migliori, a testimonianza del legame che c’è con questa maglia”.

In molti hanno fatto quadrato intorno alla società, determinata a ripartire dalla sua identità, rinvigorita dai frutti del settore giovanile. “Abbiamo affidato la guida tecnica a Pietro Pinelli, che aveva già allenato Giovanissimi e Allievi, quindi conosce perfettamente gli attuali Juniores di mister Baronio. Lavorano in sinergia sia negli allenamenti sia in ottica partite. Deve essere così”.

Al giro di boa la classifica posiziona la formazione bassaiola all’ottava piazza, ma con il treno play-off distante solamente 4 punti. “Siamo partiti ambiziosi, con l’intenzione di essere protagonisti. Non facciamo la Terza per fare scapoli e ammogliati, ma per essere competitivi, inserendo giocatori funzionali. Tredici calciatori su venti sono del paese e molti altri risiedono altrove, ma sono cresciuti calcisticamente qui. Cosa ci ha insegnato la retrocessione? Che nel calcio, anche in queste categorie, occorrono certezze. Non bisogna accontentarsi dei ‘se’. O è si o è no, o è bianco o è nero. Se uno non è convinto di restare è meglio che prenda altre strade. Senza motivazioni forti ci si tira la zappa sui piedi. Ripartire dopo la pandemia non è stato facile per noi. Abbiamo pagato un senso generale di incertezza”.

Il settore giovanile è ripartito alla grande, anche nel segno delle sinergie: “Abbiamo scuola calcio e pulcini, mentre sui 2009, 2010 e 2011 collaboriamo con la Quinzanese. Dagli allievi lo sbocco è qui, con under 16 e juniores. Per noi il vivaio deve alimentare la prima squadra e unire le forze con altre realtà è saggio. Da soli faremmo fatica, insieme siamo più solidi e possiamo far fronte anche ad eventuali uscite”.

Se sbocciano talenti purissimi il Verolavecchia li aiuta a spiccare il volo, ma le insidie non mancano: “Negli anni abbiamo constatato che molte società operano con modalità subdole, provando a portarci via i bambini. Parlando direttamente con i genitori e promettendo mari e monti. Non fanno il loro bene e rovinano il calcio. È un brutto vizio molto diffuso, del quale temo che non riusciremo mai a liberarci”.

La vocazione al sociale del Verolavecchia è evidente. “Qui non si fa selezione, le porte sono aperte per tutti. Il motore di tutto, poi, è il volontariato. Questa dirigenza è operativa da quattro anni, abbiamo un segretario 75enne e un custode 70enne che sono sempre qui, esempi e modelli di passione. Una realtà come la nostra deve anche fare sinergia con il Comune. Devo dire che in tal senso i rapporti sono ottimi. Ci hanno hanno dato un pullmino in concessione oltre a sostenere le nostre iniziative. Si collabora, come nel caso del Memorial, dove molti ragazzi della prima squadra vengono a prestare il loro servizio: un segnale bellissimo. Sono sempre le persone a fare la differenza e chi entra nel Verolavecchia difficilmente lo lascia, anzi, i pochi che se ne vanno di solito finiscono per tornare a casa nel giro di poco tempo”.

Un senso di appartenenza che si traduce anche in termini di pubblico e sponsor. “In casa siamo seguiti. Purtroppo il Covid ci ha portato via alcuni sostenitori storici, i fedelissimi anziani del paese. Il forte legame territoriale anche in ottica giovanile ci agevola, così come il collegamento tra famiglie e giocatori. Il bar rappresenta un servizio prezioso e le prospettive di ammodernamento del centro sportivo attraverso un bando ci danno nuove speranze. Anche le aziende del paese hanno constatato la bontà del nostro lavoro e ci aiutano. Dandoci una mano tutti insieme possiamo fare cose davvero belle. Basta poco”.

In Terza non c’è l’obbligo delle quote, ma i giovani non mancano: “Abbiamo tantissimi ragazzi, qualcuno ha già avuto richieste da categorie superiori, ma la voglia di rivincita è tanta e c’è il desiderio di riscattare la scorsa annata. Noi siamo per dare spazio ai giovani in prima squadra, ma non deve essere un obbligo. Forse il calcio dilettantistico andrebbe strutturato diversamente, incentivando la creazione di squadre B in Terza o facendo più prestiti nelle categorie inferiori. Anche nella juniores qualcosa va cambiato. Assurdo vedere i 2002 contro i 2005”.

I sogni nel cassetto del Verolavecchia non riguardano le categorie. “Per noi conta vivere il calcio con lo spirito giusto, avere lo stesso sorriso quando si entra e si esce dal cancello. Questo contesto può essere un trampolino di lancio per chiunque, basti pensare a Diego Bandera che era direttore sportivo qui in Terza ed è arrivato in D a Desenzano. Tutto può succedere. Non pensiamo a scalate e promozioni, se saremo bravi arriveranno. A noi bastano le grida di gioia dei bambini ricoperti di fango e il passaparola convinto dei genitori che ha fruttato la crescita del nostro settore giovanile nei mesi scorsi. Sono i premi più significativi”.

Dai bambini agli adulti, insomma, divertimento è sempre la parola chiave, come racconta mister Pinelli. “Quando si fa allenamento in pochi o si è contati la domenica iniziano gli scricchiolii. Quest’anno abbiamo cercato di inserire i nuovi e far capire loro questo contesto e la filosofia della società. Tutti i venerdì c’è la pizza di squadra. Quando abbiamo vinto il campionato in Seconda non mancava mai nessuno. Fare gruppo nel calcio è fondamentale, rende tutto più facile. Il coinvolgimento va concepito anche dal punto di vista tecnico. Se uno non gioca mai fa fatica a sentirsi importante e la passione cala. Per ottenere risultati non basta essere preparati fisicamente e dotati tecnicamente, occorrono serenità e coesione”.

Bruno Forza

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