Franco Pezzi, cuore biancoverde: "Sono nato alla Virtus Manerbio e morirò alla Virtus Manerbio"

“Virtus significa virtuosi. Siamo i virtuosi di Manerbio”. Il presidente biancoverde Franco Pezzi, affiancato dal direttore sportivo Gabriele Favasuli, sottolinea questo concetto con orgoglio, come se lucidasse una medaglia al petto. Per lui quei colori rappresentano una vita, mille volti, una corrispondenza di anime che non si può spezzare. “Sono qui da cinquant’anni, presidente da quattro. Ho ricoperto tutti i ruoli: giocatore, allenatore delle giovanili e della prima squadra, direttore generale, direttore sportivo, presidente. In passato vinsi dei campionati da tecnico e mi chiamarono dirigenti di altre società per fare il mister da loro. Offrivano somme interessanti, ma gli dissi che sono nato alla Virtus e morirò alla Virtus. Certi legami non possono essere compromessi dagli interessi economici”.

Il focus della Virtus Manerbio è su prima squadra e juniores. Ad occuparsi del settore giovanile è l’Accademia Calcio Virtus Manerbio, che gestisce le numerose squadre che vanno dai pulcini ai giovanissimi. “Abbiamo creato due gruppi dirigenziali distinti per ragioni di natura organizzativa, separandoci su due fronti differenti ma ovviamente collegati. Era necessario impostare così la gestione di questa grande realtà calcistica: con 300 tesserati la funzionalità dei meccanismi è fondamentale”.

Un vivaio ampio, dunque, con obiettivi molto chiari: “Secondo noi il calcio giovanile deve educare e consentire a bambini e ragazzi di fare amicizia vivendo lo sport in un contesto di gruppo utile a crescere. In secondo luogo ci sono l’aspetto agonistico e l’intenzione di coltivare talenti che possano arrivare in prima squadra. La stagione delle grandi campagne acquisti è finita per quasi tutti nei dilettanti. È fondamentale riuscire a pescare i nuovi innesti dai nostri juniores”.

Sul capitolo affiliazioni nessun legame viscerale, ma una collaborazione vivace esiste: “È quella con la Cremonese. Il Brescia? I rapporti erano ottimi ai tempi della Voluntas di Clerici, gran persona. Negli ultimi anni le rondinelle non hanno manifestato grande interesse nei nostri confronti, non ci hanno mai proposto nulla e non sentiamo il bisogno di cercarli, anche perché qui le porte sono aperte per tutti i club professionistici”.

L’identità locale è un valore, ma anche un bisogno: “Su 24 giocatori della prima squadra 17 sono cresciuti qui. Per noi è una grande soddisfazione, un concetto di rilievo nell’ottica del senso di appartenenza, ma anche una possibilità di risparmio alla voce ‘costi’. I ragazzi del paese, infatti, non percepiscono rimborsi. Ogni tanto gli diamo qualcosa per la benzina in occasione delle trasferte più lunghe, oppure offriamo qualche serata in pizzeria. Solo i pochi che vengono da fuori hanno un fisso. Sento di società che pagano i giocatori in Terza Categoria: la ritengo una follia. Noi preferiamo politiche diverse, quelle dei piccoli passi e della continuità, infatti è dal 1946 che non saltiamo un campionato. La Promozione è stato il punto più alto che abbiamo raggiunto, nel 2006, ma crediamo che la nostra dimensione ideale sia la Prima Categoria. Vogliamo essere competitivi, non importa la posizione in classifica, conta essere protagonisti. Salire per poi arrivare ultimi non ha senso. Per fare categorie superiori occorre una certa forza economica”.

Una prospettiva che, comunque, non esalta Pezzi: “È già capitato che sponsor importanti ci offrissero cifre di rilievo, ma credo che l’ideale sia avere tanti partner piccoli o medi. Se uno sponsor del genere molla puoi sostituirlo, mentre nel primo caso resti a piedi. I finanziatori prestigiosi si possono accogliere se garantiscono un impegno decennale, non di meno”.

Il bilancio stagionale non è dei più entusiasmanti. Nonostante la salvezza il bicchiere è mezzo vuoto: “Pensavamo di fare meglio, ma ci sono annate in cui gira tutto storto. Abbiamo perso partite incredibili e lasciato punti pesanti a squadre più quotate di noi come Cellatica e Lodrino. La beffa più atroce, però, è stata a Castenedolo. Stavamo pareggiando e al ’92 ci danno un rigore. Lo sbagliamo e sulla ripartenza l’arbitro fischia un rigore inesistente per gli avversari, che segnano e vincono all’ultimo secondo. Diciamo che abbiamo raccolto molto meno di quanto abbiamo seminato. Il futuro? Vogliamo mettere radici sempre più forti in Prima categoria e aumentare il tasso tecnico della squadra”.

Sui giocatori avuti in questi anni il presidente non nasconde le sue preferenze ed elegge il suo pupillo: Perdere la nostra bandiera Appiani non è stato semplice. È sempre stato un giocatore da categorie superiori. Anni fa lo convinsi ad andare a giocare in Promozione al Castiglione. L’offerta era importante, sia per noi sia per lui. Sapevo che sarebbe tornato a casa nel giro di poco, ma era giusto che si mettesse alla prova in quel contesto. Lo riacquistai a meno della metà del prezzo incassato l’anno prima, ma mi fecero sudare non poco. L’operazione andò in porto all’ultima ora dell’ultimo giorno del mercato di riparazione. Ottenni la firma alle 18 e corsi a Brescia per depositare il trasferimento entro le 19. Un’altra trattativa che ricordo con il sorriso? La cessione di Osio al Chiari. Il loro ds Carletti mi fece un pressing incredibile. Mi chiamava a orari assurdi sul telefono di casa. Mia moglie sentiva squillare a mezzanotte ed era allibita. Mi chiedeva chi fosse, io rispondevo che era l’amante”.

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