Momo Coly e il Senegal: "Il calcio rappresenta tutto quello che sono"

Primo personaggio riservato alla nuova rubrica Mondiale Bresciano, Mohamed Coly è intervenuto all’indomani del suo ritiro durante la trasmissione FOCUS CBS, ripercorrendo le tappe della sua vita, calcistica e non, che lo hanno portato in Italia dal Senegal: “Voglio ringraziare la società Cellatica per la festa e l’organizzazione. Non è una cosa scontata ed è valso tanto, ringrazio tutte le persone che hanno partecipato. Diciamo che non sono ancora entrato nella parte dell’ex giocatore, ma essendo fermo da diverso tempo questa cosa è stata accolta anche più facilmente. Ora vorrei concentrarmi sul percorso da allenatore, che è una cosa che mi piace fare e mi dà molto entusiasmo”.

 

Durante il corso dell’intervista, condotta da Daniele Casellato e Matteo Carone, sono state mostrate delle immagini relative al percorso di Momo nella sua vita, iniziando da un piccolo commento sull’esordio mondiale del Senegal, sconfitto 2-0 dalla favorita Olanda: “Ho visto solo la prima parte di partita perché poi avevo allenamento con i miei ragazzi. Diciamo che qualificarsi al mondiale è già un successo, il calcio senegalese sta crescendo e sta sfornando molti giocatori di alta qualità. Dispiace per la mancanza di Manè, che oltre a livello tecnico è un leader anche carismatico per la squadra. Ci sono giovani interessanti come Krepin Diatta o Ismaila Sarr. Speriamo possano rientrare nel discorso qualificazione già dalla prossima partita perché nulla è compromesso. Ho visto una squadra organizzata, forse manca un po’ davanti in fase di finalizzazione”.

 


Il calcio rappresenta tutto quello che sono stato e sono tutt’ora. Sono nato con il pallone tra i piedi ed il mio sogno è sempre stato fare il calciatore, fin da piccolo quando ero in Senegal. Quando sono arrivato in Italia a 9 anni mi sono iscritto subito ad una scuola calcio in provincia di Reggio Emilia e da lì è iniziata la mia carriera”.

 


“Diciamo che l’Italia è al pari del mio paese d’origine. Gran parte della mia vita l’ho vissuta qua e tanto di quello che sono e della mia formazione la devo all’Italia. È un paese a cui io devo tanto e che ringrazio per avermi accolto a braccia aperte e dato la possibilità di fare quello che sto facendo”.

 


Il Senegal è il mio paese. Sono nato e vissuto là e i miei parenti vivono tutti là. Tornare in Senegal è sempre un’emozione forte. Sono sia senegalese che italiano, ho entrambe le cose dentro. Non abbandonerò mai il mio paese come modo di pensare e di essere. Non vedo l’ora ogni volta di tornare là. Ogni tanto è difficile perché si sente la malinconia e la voglia di tornare. L’ultima volta che sono stato là è stato prima del covid, ma quest’estate ho intenzione di tornare”.

 


“Sono nato a Dakar, che è una città di mare, ma essendo piccolo ai tempi non andavo spesso nella zona della spiaggia, ero più orientato a giocare per strada. Il richiamo del mare è sempre forte e le città di mare per me hanno sempre un fascino speciale. Si giocava per strada, spesso senza scarpe perché c’era anche la povertà sotto certi aspetti, ma io l’ho vissuta sempre più che bene perché ero con la mia famiglia e mi divertivo. Si viveva il quotidiano, la felicità di stare insieme e di vivere in comunità. Sono cresciuto divertendomi e sognando il calcio italiano, che in quegli anni era il calcio più ambito. Mi sono portato dietro tutto. Quel sogno lì l’ho voluto raggiungere anche a discapito di molte difficoltà che ho incontrato nel corso della carriera. La voglia di non mollare, partendo dal basso, mettendosi sempre in discussione. Crescere in un ambiente di difficoltà mi ha aiutato in questo”.

 


“Il Cittadella penso sia stato uno degli ambienti in cui mi son trovato meglio a livello di umanità e organizzazione. Una società che mette a disposizione tutto per il calciatore. Tutt’oggi sento persone con cui ho condiviso quell’esperienza. Una realtà che mi è rimasta nel cuore e che ammiro, ce ne vorrebbero tanti di ambienti così”.

 


“Il Parma ha un qualcosa di speciale per me. Quando sono arrivato in Italia erano i tempi d’oro del Parma ed ero tifoso. Lilliam Thuram ai tempi era il mio idolo, ma essendo di Reggio Emilia non ero ben visto per questa cosa. Sognavo di giocare a Parma. Dopo anni c’è stata questa possibilità ed ho coronato il mio sogno di giocare al ‘Tardini’. Purtroppo, non è andata come mi sarei auspicato perché ho avuto uno dei miei tanti infortuni, però l’annata è stata ottima. È stata un’esperienza che rifarei”.

 


“Nel corso della vita di ognuno, il razzismo si può incontrare e diffondere sotto tanti punti di vista. Non è solo il colore della pelle, l’ho vissuto ma sono una persona che riesce a farsi scivolare addosso le cose. Ho sempre cercato il confronto, senza mai andare a litigare perché credo che spesso le persone vadano educate. Spesso magari non è nemmeno colpa loro perché gli è stato insegnato. Il bello della diversità è che ognuno può portare la sua cultura, la sua esperienza e il suo modo di vivere. Questo fa si che si possa crescere accettandosi. È tutta questione di umanità”.

 


“Ho iniziato e finito con il calcio dilettantistico. Con molta umiltà mi sono calato nella realtà dei dilettanti. Penso che l’umiltà sia alla base di tutto, noi giocatori viviamo un ruolo privilegiato e bisogna essere umili nell’affrontarlo, come ci insegnano tutti i grandi campioni, che sono stati amati anche per questo”

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