Calciatori, allenatori, dirigenti, arbitri. Nel variegato mosaico del calcio sono innumerevoli le figure che gravitano intorno al pallone. Dietro le quinte ci sono anche gli osservatori, che operano nell’ombra armati di passione e dedizione.
Jacopo Regosa è uno di loro, e si dedica all’attività di scouting per il settore giovanile del Brescia Calcio dal 2019. “In realtà arrivai in biancazzurro l’anno precedente, ma nella prima stagione ricoprivo un ruolo diverso. Christian Botturi mi affiancò a Marco Franchi, allenatore dei pulcini 2011. Fu una bella esperienza, che fece seguito a quelle maturate negli staff tecnici del Real Leno, dove gli anni precedenti avevo lavorato accanto a due colonne storiche come Gilardi e Agosti. A loro devo molto, mi hanno trasmesso, al di là delle conoscenze tecniche, quei valori di umiltà e autostima che sono il giusto mix per fare le cose per bene”.
La maglia del Real Leno è speciale per Regosa: “Ho giocato lì fino agli agli allievi, poi negli juniores Borgosatollo. In prima squadra Bassa Bresciana (Promozione) e Atletico Bagnolo (Prima Categoria). Facevo il terzino sinistro o il mediano. Ho smesso presto, a 21 anni. Volevo imboccare nuove strade e l’intenzione era dare la priorità al lavoro”.
Giocatore, tecnico e ora scout: “Credo che sia l’ambito ideale per me, anche se in futuro non mi dispiacerebbe un’esperienza da direttore sportivo. Il corso a Coverciano è nei miei piani. Nel frattempo faccio esperienza, moltiplico i miei contatti e cerco di farmi conoscere per poi conquistare la fiducia di una società, professionistica o dilettantistica. Il Brescia è certamente una palestra utile per crescere. Se potessi vivrei di calcio, ma non è semplice. Per ora è un sogno e lo sto vivendo un passo alla volta, mettendomi in gioco con le mie capacità e il mio impegno”.
Tra le fonti d’ispirazione del trentenne bassaiolo c’è un guru del calcio mondiale, che ha lasciato il segno anche nella nostra città: “A farmi innamorare è stato soprattutto il Barcellona di Pep Guardiola. Ritengo strepitosa quell’idea di calcio e quel modo di giocare. In molti, forse troppi, cercano di imitarlo, ma Guardiola è unico. Vorrei vedere un calcio italiano che pensa allo stesso modo, qui invece contano molto fase difensiva e prestanza fisica. Io sono più per un calcio di ragionamento e di fantasia, che sappia coltivare talenti nel segno della tecnica e della creatività. Una visione offensiva, che entusiasmi il pubblico e che faccia bene anche nei settori giovanili, dove bambini e ragazzi devono avere sempre il pallone tra i piedi e divertirsi per poi portare in partita ciò che fanno sul campo di allenamento”.
La chiave di tutto ciò, secondo Regosa, è nelle mani degli allenatori dei vivai. “Avere tecnici che sanno insegnare calcio è basilare. Chi ne ha di alto livello fa la differenza. Purtroppo in tante realtà, invece, si allena ancora alla vecchia. Corsa, preparazione fisica e partitella. Le società non sempre hanno le risorse e le competenze per scegliere e formare gli allenatori nel migliore dei modi”.
Tornando alla sua attività, Regosa traccia così il profilo dello scout ideale: “Un buon osservatore deve avere passione, garantire disponibilità, costanza e capacità di trasmettere in forma scritta ciò che vede. È importante anche lo stile. Occorre confrontarsi con dirigenti e allenatori, non con i genitori. È meschino e poco rispettoso nei confronti delle società bypassarle. Io sono per creare un rapporto, una relazione, nel rispetto reciproco. Onestà e correttezza vengono prima di tutto. Nel Brescia c’è l’idea di valorizzare i ragazzi del territorio. La provincia è molto estesa e la qualità c’è. Ovviamente in zona non mancano competitor di spessore e non è facile avere la meglio. Forse allargare i propri orizzonti oltre i confini locali non sarebbe una cattiva idea, soprattutto nella fascia agonistica”.
In tribuna conta lo sguardo, ma l’udito è messo a dura prova: “Purtroppo capita spesso di trovarsi nel mezzo degli schiamazzi dei genitori, che non rinunciano mai a dire ai bambini cosa devono fare. Loro si trovano nel mezzo, con un orecchio ascoltano il mister, con l’altro il pubblico. Andrebbero lasciati in pace e liberi scegliere. I genitori urlano troppo, dovrebbero concentrarsi sulla crescita dei figli, non su risultati e classifiche”.
Bruno Forza