“La gente ha pagato il biglietto per vedere una scimmia, così ho fatto la scimmia. Sul campo sono un attore. Tutte le volte che accadrà, lo farò”. È il 12 febbraio 2005, il Barcellona ha appena vinto 4-1 alla “Romareda” di Saragozza, ma nel post partita non si parla di calcio. Samuel Eto’o, dopo aver segnato la rete del provvisorio 2-1 al 39′, aveva corso ad esultare alla bandierina mimando le movenze di una scimmia. Una reazione istintiva ed ironica, ma altrettanto affilata, al comportamento avuto dai tifosi di casa nei suoi confronti da quando aveva messo piede in campo. Un gesto che avrebbe avviato una discussione più profonda in merito al razzismo negli stadi spagnoli. Avviato, ma nemmeno lontanamente risolto. Quasi esattamente un anno dopo (25 febbraio 2006), stesso stadio e stesse squadre, lo stesso giocatore camerunense avrebbe abbandonato il campo per i medesimi motivi, ripetendo a favore di camera un eloquente: “No màs”.
Sono passati vent’anni, ma siamo ancora incastrati sui seggiolini della “Romareda”. Che, oggi, sono quelli del “Mapei Stadium” e del “Rigamonti”. Domenica 12 gennaio, a distanza di poche ore l’uno dall’altro, due episodi di razzismo hanno schiaffeggiato la Serie B: gli insulti di parte del pubblico della Reggiana verso il giocatore algerino del Bari, Mehdi Dorval (nella stessa partita ci sono stati anche insulti sessisti alla guardalinee Francesca Di Monte); gli ululati di parte della Nord verso il ventenne nigeriano della Sampdoria, Ebenezer Akinsanmiro. Quest’ultimo, al vantaggio doriano, aveva citato l’ex Barcellona e Inter, agitandosi nell’imitazione di un gorilla di fronte alla curva. Poteva andare peggio? Sì.
A fine gara i referenti delle tifoserie interessate, nelle persone del vicepresidente della Reggiana Vittorio Cattani e dell’allenatore del Brescia Pierpaolo Bisoli, sarebbero riusciti nell’ardua impresa. Non solo non avrebbero preso le distanze dagli accadimenti, ma l’uno avrebbe elogiato la propria schiera: “Reggio e i suoi tifosi vanno portati ad esempio”; l’altro avrebbe addirittura accusato il calciatore offeso, giustificando implicitamente la condotta degli ultras razzisti: “Credo però che una scena fatta così da un giocatore sia istigazione alla violenza”. Complimenti a entrambi.
Questi argomenti vanno portati fuori dagli stadi, fuori dal calcio, perché riguardano la cultura e la società del nostro Paese tout court. In questa rubrica, tuttavia, si parla di arbitri e di regole. E allora: come si pone il ruolo del direttore di gara nel contesto? Qual è l’iter da seguire in circostanze come quelle di Reggio e di Brescia? Che differenze ci sono tra professionisti e dilettanti? In primis guardiamo i fatti.
Quello che è successo a Reggio Emilia: l’arbitro Alessandro Prontera interrompe la partita per sette minuti per permettere allo speaker dello stadio di chiedere al pubblico di mantenere un comportamento sano e sportivo. A Brescia lo stesso iter (precedente alla rete ospite), a cui aggiungiamo un’appendice: dopo il gesto del gorilla (successiva alla rete ospite), l’arbitro Davide Massa ammonisce Akinsanmiro e, pochi minuti dopo, notato il grande nervosismo del poprio giocatore, mister Leonardo Semplici decide di utilizzare un cambio e uno slot per la sua sostituzione, prevenendo un possibile rosso. Ora andiamo alla fonte e, come solito, facciamoci aiutare dal regolamento, estrapolando i passaggi che hanno a che fare con quanto vissuto sui due campi in oggetto.
REGOLA 5 – L’ARBITRO
ESTRATTO
Tutela dell’ordine pubblico in occasione delle gare
[…]
2) Le Società sono responsabili del mantenimento dell’ordine pubblico nei propri campi di gioco e del comportamento dei loro sostenitori anche nei campi diversi dal proprio.
2 bis) È vietato introdurre e/o utilizzare negli stadi e negli impianti sportivi materiale pirotecnico di qualsiasi genere, strumenti e oggetti comunque idonei a offendere, disegni, scritte, simboli, emblemi o simili, recanti espressioni oscene, oltraggiose, minacciose, incitanti alla violenza o discriminatorie per motivi di razza, di colore, di religione, di lingua, di sesso, di nazionalità, di origine territoriale o etnica, ovvero configuranti propaganda ideologica vietata dalla legge o comunque inneggiante a comportamenti discriminatori.
3) Le Società hanno l’obbligo di adottare tutti i provvedimenti idonei a impedire che […] durante la gara si verifichino cori, grida e ogni altra manifestazione espressiva di discriminazione per motivi di razza, di colore, di religione, di lingua, di sesso, di nazionalità, di origine territoriale o etnica, ovvero configuranti propaganda ideologica vietata dalla legge o comunque inneggiante a comportamenti discriminatori nonché di far rimuovere, prima che la gara abbia inizio, qualsiasi disegno o dicitura in qualunque modo esposti, recanti espressioni oscene, oltraggiose, minacciose, incitanti alla violenza o discriminatorie per motivi di razza, di colore, di religione, di lingua, di sesso, di nazionalità, di origine territoriale o etnica, ovvero configuranti propaganda ideologica vietata dalla legge o comunque inneggiante a comportamenti discriminatori.
[…]
6) Prima dell’inizio della gara, il responsabile dell’ordine pubblico dello stadio, designato dal Ministero, anche su segnalazione dei Collaboratori della Procura federale, o, in loro assenza, del Delegato di Lega, ove rilevi uno o più striscioni esposti dai tifosi, cori, grida e ogni altra manifestazione discriminatoria di cui al comma 3 costituenti fatto grave, ordina all’arbitro, anche per il tramite del quarto ufficiale di gara o dell’assistente dell’arbitro, di non iniziare la gara. In caso di assenza delle predette figure, il provvedimento viene assunto dall’arbitro.
7) Il pubblico dovrà essere informato con l’impianto di amplificazione sonora o altro mezzo adeguato, sui motivi del mancato inizio e verrà immediatamente invitato a rimuovere lo striscione e/o a interrompere cori, grida e ogni altra manifestazione discriminatoria di cui al comma 3 che hanno causato il provvedimento. L’arbitro darà inizio alla gara solo su ordine del responsabile dell’ordine pubblico dello stadio, designato dal Ministero dell’Interno o, in sua assenza, il provvedimento viene assunto dall’arbitro.
8) Nel corso della gara, ove intervengano per la prima volta i fatti di cui al comma 6, l’arbitro, anche su segnalazione del responsabile dell’ordine pubblico dello stadio, designato dal Ministero dell’Interno o dei Collaboratori della Procura federale e, in assenza di questi ultimi, del Delegato di Lega, dispone la interruzione temporanea della gara.
9) L’arbitro comunica la interruzione temporanea della gara ai calciatori, i quali dovranno rimanere al centro del campo insieme agli ufficiali di gara. Il pubblico dovrà contemporaneamente essere informato con l’impianto di amplificazione sonora o altro mezzo adeguato, sui motivi che hanno determinato il provvedimento e verrà immediatamente invitato a rimuovere lo striscione e/o a interrompere cori, grida e ogni altra manifestazione discriminatoria di cui al comma 3.
10) Nel caso di prolungamento della interruzione temporanea, in considerazione delle condizioni climatiche e ambientali, l’arbitro potrà insindacabilmente ordinare alle squadre di rientrare negli spogliatoi. La ripresa della gara potrà essere disposta esclusivamente dal responsabile dell’ordine pubblico di cui al comma 6 o, in sua assenza, dall’arbitro.
11) Qualora il gioco riprenda dopo la interruzione temporanea di cui al comma 8 e si verifichino altri fatti previsti dal comma 6, il responsabile dell’ordine pubblico dello stadio, designato dal Ministero dell’Interno, anche su segnalazione dei Collaboratori della Procura federale e, in assenza di questi ultimi, del Delegato di Lega, può ordinare all’arbitro, anche per il tramite del quarto ufficiale di gara o dell’assistente dell’arbitro, di sospendere la gara. In caso di assenza delle predette figure, il provvedimento viene assunto dall’arbitro.
12) L’arbitro comunica la sospensione della gara ai calciatori, i quali dovranno rimanere al centro del campo insieme agli ufficiali di gara. Il pubblico dovrà contemporaneamente essere informato con l’impianto di amplificazione sonora o altro mezzo adeguato, sui motivi che hanno determinato il provvedimento e verrà immediatamente invitato a rimuovere lo striscione e/o a interrompere cori, grida e ogni altra manifestazione discriminatoria di cui al comma 3.
13) Nel caso di prolungamento della sospensione disposta dal responsabile dell’ordine pubblico dello stadio di cui al comma 6, in considerazione delle condizioni climatiche e ambientali, l’arbitro potrà insindacabilmente ordinare alle squadre di rientrare negli spogliatoi. La ripresa della gara potrà essere disposta esclusivamente dal responsabile dell’ordine pubblico di cui al comma 6 o, in sua assenza, dall’arbitro.
14) Il non inizio, l’interruzione temporanea e la sospensione della gara non potranno prolungarsi oltre i 45 minuti, trascorsi i quali l’arbitro dichiarerà chiusa la gara, riferendo nel proprio rapporto i fatti verificatisi, e gli Organi di Giustizia Sportiva adotteranno le sanzioni previste dall’art. 17 del Codice di Giustizia Sportiva, ferma restando l’applicazione delle altre sanzioni previste dal codice di giustizia sportiva per tali fatti.
REGOLA 4 – L’EQUIPAGGIAMENTO DEI CALCIATORI
ESTRATTO
Interpretazione della Regola
Al fine di determinare se uno slogan, una scritta o un’immagine è ammissibile, si dovrà tenere presente la Regola 12 (Falli e scorrettezze), che richiede all’arbitro di punire un calciatore che:
• usa un linguaggio e/o agisce in modo offensivo, ingiurioso o minaccioso;
• agisce in modo provocatorio o derisorio.
Non sono consentiti slogan, scritte o immagini che rientrino in uno di questi casi.
REGOLA 12 – FALLI E SCORRETTEZZE
ESTRATTO
Festeggiamenti di una rete
I calciatori possono festeggiare la segnatura di una rete, ma tale festeggiamento non deve essere eccessivo; i festeggiamenti con coreografie non devono essere incoraggiati e non devono causare eccessiva perdita di tempo.
Uscire dal terreno di gioco per festeggiare una rete non è di per sé un’infrazione passibile di ammonizione, ma i calciatori devono ritornare sul terreno di gioco il più rapidamente possibile.
Un calciatore deve essere ammonito, anche se la rete non viene convalidata, se:
• si avvicina agli spettatori in modo tale da causare problemi di sicurezza e/o per l’incolumità e/o si arrampica sulla recinzione;
• agisce in un modo provocatorio o derisorio;
• si copre la testa o il volto con una maschera o altro oggetto similare;
• si toglie la maglia o copre la testa con la maglia.
SPUNTI REDAZIONALI
La base di partenza è che non si tratta di situazioni semplici da gestire, né a livello professionistico, né nel mondo dei dilettanti. Per motivi differenti. Difficile pure, ancorché necessario, non coinvolgersi in partenza dentro la questione e leggere i fatti in maniera asettica. Qualcuno ci riesce, ad esempio Il Post. In questo articolo, la testata giornalistica racconta gli accadimenti in maniera descrittiva, “spiegandoli bene”, come da mission, rendendosi conto al contempo che qualcosa nei processi non sta funzionando.
“Gli episodi di razzismo restano piuttosto frequenti negli stadi, e le risposte che di volta in volta vengono date mettono in dubbio l’efficacia dei regolamenti per scoraggiarli: quasi mai si arriva a sospendere le partite, nonostante spesso le circostanze lo giustifichino. La FIGC, Federazione Italiana Giuoco Calcio, ha adottato un regolamento sugli episodi di razzismo negli stadi che segue le indicazioni della federazione internazionale, la FIFA, approvate nel 2019. […]. Questa risposta definita in ‘tre fasi’ (‘partita interrotta, partita sospesa, partita abbandonata’) dovrebbe scoraggiare episodi di questo genere, ma raramente si supera la prima fase e più spesso sono i giocatori bersaglio di cori razzisti a richiedere interventi e a essere condizionati. Quando protestano platealmente, come ha fatto Akinsanmiro, possono essere sanzionati”.
Qui si pone un’interpretazione aggiuntiva: quando la protesta eccede, o addirittura diventa provocazione, è giusto interpretare alla lettera la regola e procedere con la sanzione al giocatore offeso? Il giallo ad Akinsanmiro aiuta od ostacola il tentativo di gestione della situazione in atto? Quanto può arrivare ad incidere la sensibilità del direttore di gara, il suo grado di empatia con la vittima o la sua volontà di condanna nei confronti del tifo marcio? Bastano le decisioni punitive prese dal Giudice Sportivo (quasi sempre e solo pecuniare, vedi ammenda di 12.000 euro indirizzata al club di Cellino) per dare un colpo di spugna e risolvere l’argomento?
A livello dilettantistico cambia la struttura dell’organo di direzione sportiva, di conseguenza cambia un po’ tutta la forma. L’arbitro si trova ad essere da solo, o al limite in terna, ma senza delegati statali ad aiutarlo e sostenerlo nelle decisioni. Ha meno occhi, meno orecchie e meno consiglieri a disposizione per leggere il problema e prenderlo in mano per indirizzarlo non tanto verso la sua soluzione, quanto verso la via dettata dal regolamento. Perché quello, in effetti, rimane lo stesso a prescindere dalla categoria.
Ecco allora che, comprensibilmente, la solitudine dell’arbitro diventa la prima situazione da gestire tra le dinamiche spigolose del match. Gesti, cori o atteggiamenti discriminatori che si originano in campo o fuori rischiano di non essere trattabili a caldo, ma solo in settimana, attraverso l’organo giudicante. Il primo obiettivo diventa portare a termine l’incontro, attenendosi a richiami, condizionati dalla difficoltà ambientale di mettere in pratica anche solo la prima delle “tre fasi”. A fine gara, nella sicurezza di uno spogliatoio privato, la possibilità di mettere nero su bianco ogni particolare, compilando il rapportino e passando la palla al Giudice Sportivo provinciale o regionale. La cosa giusta da fare? Probabilmente no, ma altrettando probabilmente l’unica possibile.
In un tessuto culturale che tende a sorridere alla creatività degli insulti discriminatori e a minimizzare gli effetti degli ululati (i cori razzisti partiranno pure da una minoranza di bocche aperte, ma si irradiano grazie alla complicità di una maggioranza di orecchie chiuse) non possono esserci tempi e spazi perché l’arbitro, con o senza delegati, abbia la totale serenità di mettere in pratica il regolamento. Come suggerisce Il Post, la confusione nella gestione dei casi mette in dubbio l’efficacia delle regole. Ma mai come in questo caso pare chiaro come il regolamento possa al limite tamponare un sintomo, non certo curare la malattia. Per quello serve scoperchiare il vaso ed attivare un dialogo vero, sostenuto dai “No màs” pronunciati a favore di telecamera sia dai giocatori offesi quanto dai colleghi tutti (perché tutti dovremmo considerarci coinvolti). Serve che federazioni e Stato prendano posizioni meno lasche e le perseguano. Serve che l’audience apra le orecchie. Ma tutto fa pensare ad un nuovo arrocco nello status quo. Sono passati 8 giorni dai casi di Reggio Emilia e Brescia ed il silenzio si è già mangiato tutto.
Matteo Carone