Facchi senza peli sulla lingua: "Pensiamo di più ai vivai. Confido nel ricambio generazionale dei presidenti"

Sono trascorsi solamente 6 mesi dall’ultima tornata elettorale regionale, che si concluse, come è noto, con un nulla di fatto. Quel giorno Stefano Facchi, delegato provinciale della Lnd Brescia, era candidato al fianco di Sergio Pedrazzini, scelto come presidente per un pugno di voti ma attorniato da consiglieri legati alla sua rivale, Valentina Battistini. Fu un cortocircuito politico.

 

 

“Fu una giornata che lasciò il segno sotto tanti punti di vista. Il verdetto delle urne non poteva garantire una guida stabile al comitato regionale. Le mie dimissioni da delegato provinciale? Volevo dare un segnale, annunciando subito che dopo il 30 giugno avrei rinunciato all’incarico alla guida del calcio bresciano. Il problema non fu la mancata elezione in Lombardia, ma l’aver riscontrato tanto disinteresse da parte delle società del nostro territorio. Quindi, per coerenza, credo sia stato giusto fissare una data di scadenza a questa mia esperienza, che terminerà con la chiusura della stagione sportiva”.

Facchi non cerca giri di parole: “Secondo voi è normale che su 117 società sportive soltanto 37 si rechino ad esercitare il loro diritto/dovere di voto? È il 25%, lo trovo inaccettabile. Se un presidente non può dedicare mezza giornata nell’arco di quattro anni a questi aspetti significa che non rispetta il suo ruolo, che non lo ha preso sul serio. E poi, eventualmente, non c’è un dirigente che possa sostituirlo? Trovo inaccettabile tale pigrizia e superficialità, anche perché c’è chi guida società che fatturano mezzo milione di euro e spende 400mila euro per la prima squadra. Realtà simili non possono stare fuori dal sistema”.

Critica netta anche nei confronti delle deleghe. “È una pratica che non mi piace, che toglie responsabilità alle società. Peraltro un sacco finiscono cestinate, anche perché ogni presente può portarne solo una. Con il passaggio alle votazioni online cambieranno molte cose. Giusto così, anche perché a livello organizzativo fu un’assemblea elettiva disastrosa, un incubo per i partecipanti”.

Facchi ritrova il sorriso analizzando il presente della delegazione di Brescia. “Siamo soddisfatti perché abbiamo assistito ad un aumento del numero delle squadre iscritte. Nell’attività di base si registra +33. La spinta della crescita arriva anche dalla Terza Categoria. Quanto ai tesserati abbiamo ampiamente superato quota 18mila”.

Nessun dubbio sulle difficoltà più grandi: La burocrazia è un ostacolo grande, oltre alla necessità di dover rincorrere spesso le società lente ad adeguarsi alle normative. Quelle sulla tutela dei minori ci hanno imposto 6 lunghi mesi di autentico calvario. Poi c’è stato il tema dei contratti, anche se va detto che per molte società si sono rivelati più convenienti, soprattutto in ambito fiscale e sul tema calciomercato. In futuro ci sarà un mercato quasi sempre aperto, ovviamente con alcuni limiti, ma si andrà verso quella modalità. Il Crl commissariato? Non tutto il male viene per nuocere. Si è lavorato regolarmente senza perdere un giorno”.

Guardando al bilancio complessivo del suo percorso nella Lnd locale Facchi scorge più luci che ombre: “Abbiamo garantito un nuovo impulso agli eventi e collaborato benissimo con Aiac e Aia. Merito anche di figure come Fedrizzi e Lo Cicero. Credo molto nel doppio tesseramento dei giovani arbitri. La qualità si alzerà quando avremo sempre più fischietti provenienti dal calcio giocato. Oggi sono una trentina. Qualitativamente e atleticamente hanno qualcosa in più, sanno valutare meglio anche le malizie dei giocatori. Se insistiamo potremo alzare il livello della classe arbitrale”.

Anche gli episodi di violenza sui campi risultano in forte calo secondo i dati raccolti dagli uffici di via Bazoli. “Quando arrivai era un bollettino di guerra. Il secondo anno abbiamo avuto 70 gare in più e 15 episodi in meno, quest’anno a dicembre 30 episodi in meno dell’anno precedente nonostante le 124 partite in più. I risultati ci sono, occorre insistere”.

Lo spirito sportivo, tuttavia, resta in pericolo. “Vedo troppi allenatori del settore giovanile focalizzati sul risultato e inclini allo schiamazzo. Lì non ho visto un miglioramento in termini di cultura sportiva. Quanto alle prime squadre troppi cambi di allenatori e giocatori. Non c’è continuità e progettualità nella maggior parte delle società. Falliscono l’obiettivo sportivo e cambiano le persone invece di interrogarsi sulla bontà del progetto e crescere insieme a chi fa parte della loro realtà. Quote di iscrizione troppo alte? Dipende. Il calcio tutto sommato resta uno sport popolare, ma quando chiedi 500-600 euro a ragazzo a mio avviso esageri. Tuttavia preferisco puntare il dito sulle amministrazioni comunali, che aiutano troppo poco le società sportive lasciandole spesso sole in balia di costi sempre più elevati”.

Poi l’attacco a chi snobba i vivai in favore delle prime squadre: “Bisognerebbe pensare di più ai giovani, invece noto un inspiegabile desiderio di scalare categorie e spendere soldi nei compensi dei giocatori. Personalmente non mi diverto a vedere le prime squadre, mi annoia perfino la Juventus. E poi come posso entusiasmarmi per chi spende 100, 200, 300 mila euro nei dilettanti, magari senza centrare nemmeno i play-off? Ma ci rendiamo conto di ciò che potremmo fare con certe somme nei vivai? Potremmo garantire servizi di altissima qualità ed esperienze indimenticabili ai ragazzi, invece talvolta si attinge dalle rette delle famiglie per dare mille euro al mese al bomber. Assurdo. Speriamo che col tempo il cambio generazionale porti un approccio diverso, rispetto delle regole e certi valori. Ci sono giovani presidenti che vogliono fare calcio sano. Mi piacciono Urago Mella e Voluntas Montichiari. Realtà all’antitesi ma che hanno il piglio e la visione giuste. Per come vedo le cose meglio una Seconda Categoria fatta da protagonisti che una Promozione da fanalino di coda”.

La mente torna al passato. “Ad Adro partimmo dalla Terza. I giocatori della prima squadra giocavano gratis. Poi 10 euro al punto, poi 100 euro al mese, poi salendo di livello diventò tutto più strutturato, ma nel frattempo il settore giovanile era passato da 40 a 290 tesserati. Belotti ci lasciava fare e si divertiva”.

Sul futuro nessuna certezza: “Cosa farò nel calcio? È presto per dirlo. Una cosa è certa: quell’esperienza mi ha fatto capire che la politica non fa per me. Credo che domani sarà una sfida all’ultimo voto. Comunque vada spero in una partecipazione estesa, che determini un risultato reale, specchio del volere delle società. Alla scorsa tornata la squadra di Battistini dimostrò di essere più gruppo, lavorarono meglio e noi li sottovalutammo. Qualcuno dei nostri doveva fare la differenza e non la fece, peccammo di presunzione. Pasquali? Voleva portare la sua esperienza ed ha appianato le divergenze con Pedrazzini. È molto preparato e animato da una grande passione, quella che non può mancare a chi fa calcio”.

 

Bruno Forza

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