Rass.stampa - Il risveglio di Evaristo Beccalossi in poliambulanza dopo 47 giorni di coma

Dal Corriere Brescia

Dalla finestra del bagno si vede uno spicchio di San Siro, la curva sud del Milan. «Quando ero bambina ero una grande tifosa rossonera, mi ricordo di essermi svegliata di notte per guardare la finale di coppa Intercontinentale con l’Estudiantes. Poi ho sposato l’Evaristo, basta. Da quel momento è esistita solo l’Inter». Danila ha una figura esile che contrasta con lo spirito indomito. Caratteristiche che negli ultimi quattro mesi sono state indispensabili per gestire il dramma che ha colpito la famiglia del Becca, uno dei numeri 10 più amati dal popolo nerazzurro, un uomo che finora ha aggredito la vita assaporando ogni momento (se con una sigaretta in bocca, ancora meglio).

Il 9 gennaio il suo mondo si è capovolto. «Un amico che lo doveva accompagnare a Pavia arriva a casa sua e lo trova in stato confusionale — racconta Danila —. Avvisa subito mia figlia Nagaja che abbandona la cena con gli amici e si precipita a casa del papà. Evaristo era cosciente, parlava ma non tutto quello che diceva aveva un senso. Decidiamo di portarlo subito all’ospedale Fondazione Poliambulanza di Brescia che non finirò mai di ringraziare per la dedizione. Saremo sempre grati al Reparto di terapia intensiva e a quello riabilitativo. Al pronto soccorso lo sottopongono subito alla tac che evidenzia un’emorragia cerebrale».

Il bollettino contrasta con l’atteggiamento scanzonato che Beccalossi non perde. «Il medico gli consiglia “Saluta tua moglie”. “Vai, vai, fuori dalle balle” replica lui. Il dottore quindi conclude “allora non stai così male”». La situazione precipita però due giorni dopo. «Si è aggravato ed è entrato in coma. È stato intubato, ricoverato in terapia intensiva» racconta Danila.

«È stato il momento più duro perché i medici con lucida onestà ci hanno avvisato: “Non sappiamo se arriva a domani”». Da quel giorno ne sono trascorsi altri 47. «Sono stati lunghissimi anche se ho trovato conforto nella moglie di un paziente con lo stesso problema di Evaristo. Vivendo in ospedale ogni volta in cui andavo al bar c’era qualche inserviente che veniva a darmi una carezza o a chiacchierare».

I primi a essere informati sono stati il presidente dell’Inter Beppe Marotta e i compagni dello scudetto del 1980. «Hanno una chat su Whatsapp all’interno della quale si danno quotidianamente il buongiorno e la buonanotte. Essendo vecchietti fanno una sorta di appello e il Becca era fra i più attivi. La sera del ricovero non scrive nulla. La mattina seguente Oriali chiama preoccupato. Lui e Bordon sono stati i primi a saperlo».

Le visite sono state centellinate. «Una volta è venuto Canuti e gli ha detto “guarda che ho portato le Marlboro”. In quell’occasione gli occhi del Becca hanno vibrato». Nei giorni della terapia intensiva arriva il messaggio di Gianni Infantino, il presidente della Fifa. «Lui ha voluto Evaristo tra le Legend, è il suo idolo. Ci ha inviato un messaggio vocale bellissimo e commovente che ho fatto ascoltare e riascoltare a mio marito quando era in coma profondo. Poi tempo dopo hanno fatto una videochiamata». Il 27 febbraio il giocatore dal mancino imprendibile inizia a svegliarsi. «Quando al telefono si sono visti e parlati si sono emozionati entrambi. È stato un momento intimo e toccante».

Duro psicologicamente è stato il giorno di Pasqua. «Tutte le infermiere gli dicevano “auguri Becca”. In quel frangente si è reso conto del tempo che aveva passato in ospedale: era entrato a ridosso delle vacanze di Natale e si era ritrovato a Pasqua». Protetto da Danila e dalla figlia Nagaja, che lavora all’ufficio stampa dell’Inter.

«Gli amici stretti sapevano. Spillo Altobelli, Alberto Bollini, Enrico Ruggeri, Nicola Savino. Anche Max Pezzali e la moglie Debora si stanno organizzando per venire a trovarlo. E poi Aldo Serena che si è sempre informato con signorilità e discrezione». Fra due giorni compirà 69 anni. «Ora ha davanti il percorso di rieducazione, è ancora lunga. Ma, come da giocatore, mica ha voglia di allenarsi. Quando deve andare in palestra sbuffa». Vede le partite dell’Inter? «A sprazzi sul telefonino. Quando Nagaja prima della semifinale con il Barcellona gli ha chiesto “babbo chi va in finale secondo te?” ha risposto “l’Inter, ovvio”». Non ha perso la voglia di fuggire in dribbling. L’altro giorno guardando fuori dalla finestra con la figlia ha esclamato «io voglio tornare a lavorare».

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