Dal Corriere Brescia
Non è solo una squadra di calcio. Ma questo può capirlo solo chi ama lo sport. Chi è bresciano. Massimo Cellino è un business man per sua definizione, non era né l’uno né l’altro. La seconda cosa è certa, la prima è molto probabile: altrimenti non sarebbe finita così, tra le domande senza risposte di una città che ieri, dopo le 15, si è ritrovata sorpresa a piangere di nascosto in ufficio o in automobile, a vivere un lutto, a perdere un pezzo di cuore e di vita staccato senza anestesia. È solo calcio? No. Il Brescia è parte della nostra vita: solo allo stadio abbracci uno sconosciuto per un gol della tua squadra del cuore, solo per il pallone (di qualunque forma) palpiti come per il primo amore. E viresti fedele. Per sempre.
Ieri, però, quel filo si è spezzato. Il Brescia non è tecnicamente fallito, non è nemmeno corretto dire che non si è iscritto (la fideiussione andava presentata il 24 giugno), ma la data del 6 per gli stipendi era dirimente. Il club, senza il pagamento accertato degli emolumenti e dei contributi entro ieri pomeriggio, è all’angolo: per la prima volta in 114 anni, almeno con questa matricola sportiva, non parteciperà a campionati professionistici. A questo destino, anche se i tribunali sportivi sono sempre al lavoro e Massimo Cellino è solito frequentarli, non sembra si possa scappare. E questo è l’epilogo che ha deciso l’attuale presidente, al quale la notte tra giovedì e venerdì non ha portato consiglio. Anzi, ha solo rafforzato il piano già maturato: a suo avviso non c’erano le possibilità economiche per andare avanti, anche se questo club di fatto salterà in aria per tre milioni non pagati entro i termini dovuti. Bazzecole, nel calcio moderno ma anche in quello del secolo scorso cui si era approcciato il proprietario, che non ha mai cambiato il suo stile: sempre al limite, amico di pochi e nemico di molti, in guerra contro tutti. E lo è ancora.
Contattato dal Corriere, che ha chiesto spiegazioni definitive sulla vicenda, dopo il silenzio (ufficioso) nei giorni della trattativa, ha offerto queste spiegazioni sull’esito finale della vicenda. Il bersaglio? Quello di sempre, quello dei giorni scorsi quando però c’era in corso una battaglia legale peraltro appena iniziata: il 10 giugno resta in programma il ricorso alla Corte d’appello federale, nei prossimi giorni gli avvocati valuteranno il da farsi ma potrebbero presentarsi ugualmente.
«I furti e le truffe non mi hanno messo – ha detto l’attuale presidente – nelle condizioni di poter contrastare la violenta ingiustizia perpetrata dalla federazione nei nostri confronti. Mi son trovato da solo contro tutti e i tifosi nelle ultime tre stagioni sono stati ostili. Oggi per me è un giorno triste». Anche per noi. La domanda chiave però resta una: perché il Brescia è stato mandato a schiantarsi quando bastavano tre milioni di euro perl’iscrizione? Così Cellino: «Ogni giorno ne veniva fuori una, quanto sarebbe servito ancora per l’iscrizione (si riferisce al giorno 24, ndr)? In tasca degli altri è sempre facile contare i denari, ma ognuno conosce le proprie possibilità economiche e io le mie. Non è da imputare solo a me questo tragico epilogo».
E a chi altri? Il proprietario si riferisce agli acquirenti con i quali ha trattato sino a giovedì sera, prima che calasse il gelo, a solo 48 ore da quella che martedì sera sembrava un’intesa vicina. Il rimpallo, con il gruppo che aveva in Francesco Marroccu e in Daniele Scuola i due principali sostenitori, resta sulle cifre e sui tempi. Per quel che ora può contare, visto il «tragico epilogo» raccontato dal diretto interessato, resta discrepanza (netta) tra le parti sulla cifra realmente richiesta per la cessione. La scissione definitiva è stata tuttavia, come già ricordato, sui circa tre milioni – inclusi i 500 mila euro pattuiti per la prima rata con l’Agenzia delle Entrate, dopo la rateizzazione – da versare subito per salvarsi: Cellino non si fidava e voleva che li mettessero gli interlocutori, che a sua volta non volevano essere scottati dopo le recenti vicende. Un dialogo combattuto a colpi di pec. Ma le missive potrebbero non essere finite. L’ultima carta disperata da giocare riguarda la richiesta di deroga sino al 24 giugno, proposta dal Brescia negli ultimi giorni, cui la Federcalcio non ha mai risposto né in modo affermativo né negativo. Può essere l’ultimo jolly, l’impressione è però che i giochi siano chiusi. E siano durati anche troppo: la città non merita una dilatazione delle speranze e delle illusioni.