Sentirsi completi insieme. Il Resto del Maury è stato questo, e continuerà ad esserlo anche dopo la scomparsa del suo centro di gravità, Maurizio Camossi, il Maury appunto. Conosciutissimo nel mondo del calcio provinciale, ha segnato nel profondo le vite, non solo sportive, di chi ha vestito almeno una volta la maglia RDM. Una squadra nata in Val Trompia nel 1990 intorno al Maury, saretino doc, e rimasta fedele a sé stessa per 35 anni.
La sua passione per il pallone, declinata in particolar modo in una tradizione molto bresciana, quella dei tornei notturni estivi, a causa di una malattia che lo aveva colpito a soli tre anni non gli poteva permettere di scendere in campo in prima persona. Il Maury ha trovato ugualmente modo di diventare protagonista assoluto del gioco. Chi non ha avuto valori morali vicini a quelli del Maury non ha mai potuto rappresentarlo, non ha mai potuto essere il suo “resto” per completarlo e rendere viva la sua passione. D’altro canto, chi si è connesso con lui gli è rimasto fedele sempre. Lo si è visto a occhio nudo ieri, giorno dei funerali: una chiesa gremita, alcuni tra i migliori dilettanti della provincia della generazione 1990-2010, una commozione contagiosa e condivisa.
Maestro di vita, ispirazione, amico, uomo dalla fede incrollabile e dall’energia smisurata, che le vicissitudini fisiche e una carrozzina non hanno mai potuto arginare.
Dopo aver “giocato per lui” centinaia di partite, una piccola rappresentanza della sua squadra, di ciò che è stata la “vecchia guardia” del Resto del Maury, si è riunita nello spazio di questa pagina di CalcioBresciano per ricordarlo, accogliendone la morte celebrandone la vita.
Alessandro Berardi è stato il braccio destro del Maury nella composizione del nucleo storico dal 2002 in poi: “La squadra nasce nel 1990 in Val Trompia, costruita su forti giocatori della valle come Guerini, Santini, i Guizzi, Talone. Storia parallela: Roby Guizzi faceva i rally e Maury gli faceva da navigatore. Io sono di Mazzano, ho conosciuto il Maury proprio tramite Roby, che ha sposato mia sorella. L’idea era goliardica, essere ‘il resto’ del Maury diceva già tutto. Dal 1990 al 2002 in panchina c’è stato Beppe Cadei, al quale sono subentrato io, che dopo aver smesso di giocare già facevo le squadre ai tornei”.
“La formula con cui facevamo la squadra è stata unica. Creavamo un gruppo di 20 giocatori, ci iscrivevamo a tutti i tornei più importanti e ruotavamo la rosa. Polpenazze era diverso. Giocavano quei 10 e non prendevano un euro, veniva solo pagata la cena a fine partita. A fine estate quello che si era ricavato con i premi in giro per la provincia veniva messo in mezzo al tavolo e diviso tra tutti e 20 i giocatori, a prescindere da quanto avevano giocato. C’è ancora gente che mi ferma perché non ci crede. Ogni estate la speranza era quella di ‘spegnere le luci’ a Polpenazze”.
“Uno dei primi fu Guido Bertoni, poi un po’ alla volta si aggiunsero tutti gli altri, Fregoni, Faini… Mauro Moreschi arrivò dopo. Maury tutto l’anno ‘sentiva’ Polpenazze. Partiva già da agosto a chiedermi per l’estate successiva. Il nostro scopo era fare più sere possibile. Penso che quelle sere e quei gnari gli abbiano allungato la vita. Lui ha sempre avuto una forza incredibile. Ieri al funerale piangevano tutti. Dal ’90 al 2025 sono 36 edizioni del torneo, se togliamo un anno di Covid e un anno in cui non la facemmo non ricordo perché ne rimangono 34. Ecco, fare 34 edizioni di Polpenazze con un solo nome, un solo sponsor, è una cosa unica. Abbiamo fatto qualcosa di grande e l’abbiamo fatto per lui”.
Saretino come il Maury, uno dei calciatori più forti in assoluto e primo cardine del gruppo storico, Guido Bertoni racconta con emozione la storia che lo lega all’amico che non c’è più: “Lo conosco da quando sono nato, siamo entrambi di Sarezzo, sua sorella ricorda che già a 10-12 anni frequentavo la casa del Maury, anche se aveva 18 anni più di me. Andavo in bmx a trovarli. C’era già allora tanta gente che lo frequentava. Sono cresciuto in quella generazione, a 16 anni ho cominciato ad andare in panchina a Polpenazze con loro, l’ho fatto per 20 anni di fila. Inizialmente facevo il secondo ad altri portieri, dai 18 in poi ho giocato, avendo la fortuna di essere a lungo il capitano di questa bella realtà”.
“Maury aveva qualcosa di speciale per coinvolgerti ed obiettivamente è stato capace di costruire un gruppo fantastico semplicemente con il suo carisma, perché noi giocavamo per lui, nessuno prendeva soldi (e questo stava sulle balle agli sponsor delle altre squadre). Un gruppo fatto di persone come Fregoni, Pedroni, Moreschi, Prandi… e ne dimentico tanti altri. Ricordo che anche negli altri tornei, da Borgosotto a Cignano, chiedevano il pacchetto intero. Ha avuto una capacità straordinaria nell’unirci nel momento migliore di noi giocatori, ha creato un gruppo che resterà indelebile e inimitabile. Oltre al Maury c’era tutto il suo entourage, tante persone che ci hanno trascinato insieme a lui. Ci ha dato la luce”.
“L’aneddoto più bello: eravamo dei grandi festaioli, i volontari di Polpenazze probabilmente ci odiavano, andavamo via sempre alle 2 di mattina, tiravano giù le saracinesche con noi dentro per costringerci ad alzarci. Ricordo dopo una vittoria a Polpenazze – una delle quattro (2004, 2010, 2011 e 2012, unica squadra a vincere tre anni di fila il torneo: speriamo che il record resti immacolato) -, era tardi e gli organizzatori ci volevano mandar via, tra una cantata e l’altra, c’era anche il povero Attilio Camozzi, patron del torneo; lui aveva una casa, o meglio una reggia, sopra il campo del torneo, così ci invitò a salire; continuammo a festeggiare e ad un certo punto prendemmo il Maury e lo lanciammo in piscina!”.
“Nonostante le sue condizioni fossero veramente precarie, si è sempre divertito, ha vissuto con un coraggio infinito. A Sarezzo si diceva che non sarebbe arrivato a 30 anni, poi a 40, poi 50. Il 18 settembre avrebbe compiuto 66 anni e non si è mai risparmiato. Era un grandissimo sognatore, aveva la forza incredibile di creare gruppo, sapendo ridere e scherzare ma anche con grande intelligenza. Aveva sempre un pensiero per gli altri, aveva una grande fede”.
Come successo a molti, Francesco Faini prima di giocare per lui giocò contro di lui: “L’ho conosciuto nel 2000 da avversario al torneo di Polpenazze, ci siamo sempre scambiati qualche battuta fuori dal campo, poi nel 2007 sono entrato a far parte del Resto del Maury. Ho tantissimi ricordi e momenti belli che ho passato con lui, non solo legati al torneo di Polpenazze. Ha sempre nutrito un grande affetto per me, per la mia famiglia e per le mie figlie. È stato un punto di riferimento umano e sportivo, un maestro di vita, un esempio per tutti noi… e continuerà ad esserlo. Ero il suo ‘Capitan Heart’ e questo mi onora e mi riempie d’orgoglio. So che da lassù continuerà a vegliare su tutti quelli che gli hanno voluto bene, sempre e per sempre. Porterò Maury nel mio cuore e il suo logo RDM sulla mia maglia di footgolf”.
A ereditare la fascia di capitano da Bertoni e a proseguire in questi ultimi anni la tradizione RDM è un altro totem del dilettantismo bresciano, Daniele Fregoni: “Lo conobbi nel 2005, ma iniziai a giocare con la sua squadra nel 2007 grazie a Guido Bertoni. Mi disse: ‘Tu devi giocare con il Maury’. Ci misi un secondo a decidere. Per me è stato un maestro, nei momenti difficili che ho avuto lui mi ha sempre dato la forza di vedere le cose belle della vita… mi mancherà tanto non sentire più la sua voce che mi dice: ‘O mio capitano, il mio capitano’. Volergli bene è stato semplice, dimenticarlo sarà impossibile. Sono fiero di essere stato con lui per tanti anni, ora porterà la magica follia di un sorriso lassù”.
Tra i più giovani di quella che può oggi definirsi la “vecchia guardia”, anche per Luca Boglioni l’incontro con il Maury ha segnato un prima e un dopo nella sua esperienza di persona e di calciatore: “Limitare la figura del Maury dentro qualche aneddoto sminuisce quello che per me e per gli altri miei compagni ha significato. La miglior definizione di quello che era il Maury per me? Paragono la sua figura non tanto a dei momenti ma ad un’emozione… è un po’ filosofica come cosa, ma è l’unico modo che ho per riuscire a spiegare il potere di attrazione che aveva nei miei confronti. Le emozioni sono difficili da definire, ma lui era proprio questo. Riusciva a trasmettere questo senso di famiglia, entusiasmo, voglia di vivere, serenità e pace che era, soprattutto per noi della ‘vecchia guardia’, qualcosa di veramente speciale”.
“Io non ho mai vissuto nulla con quell’entusiasmo e passione come in quelle partite in cui giocavo per lui. Perché noi alla fine giocavamo per lui. Io ero un po’ il buffone del gruppo. Spesso per provocazione lo esortavo a staccarsi da quella sua maledetta compagna di viaggio che era la sedia a rotelle, a scendere in campo con noi e tirare due calci al pallone. L’ho conosciuto giocando contro la sua squadra tanti tanti anni fa, credo al torneo di Borgosotto. Dopo quella partita, il mio grande amico Daniele Fregoni mi propose di unirmi al gruppo e io immediatamente sposai la famiglia. Da quel momento è stato un percorso bellissimo, sia dentro che fuori dal campo”.
Il percorso si è interrotto bruscamente mercoledì. O forse è semplicemente iniziata una nuova strada. Il Maury sempre al centro, solo un po’ più in alto.