In molti anni di onorata carriera, Guido Bertoni ne ha viste tante. La sua scelta di abbandonare il calcio giocato era prevedibile, anche se immaginarlo lontano dalla sua porta nelle domeniche di campionato risulta piuttosto complicato: “Da qualche anno convivo con più di qualche acciacco”, spiega l'estremo difensore, “e anche per questo motivo ho deciso di appendere le scarpe al chiodo. I dolori alla schiena mi hanno condizionato nell'ultimo periodo, ha inciso anche l'infortunio alla testa patito a dicembre. Ho voluto chiudere al top o quantomeno potendo dare sempre il massimo. Inoltre da sei anni ho iniziato un percorso da allenatore che vorrei portare avanti in maniera sempre più professionale. Giocare la domenica mi preclude la possibilità di ambire a panchine di un certo tipo.”
Ma andiamo con ordine, partendo dagli inizi di un bambino nato con il pallone nella culla: “Sono cresciuto in una famiglia dove il calcio ha sempre avuto un ruolo fondamentale, mio padre era un portiere, mentre i miei fratelli giocavano fuori. Io ho iniziato facendo l'ala sinistra, poi un giorno a sette anni mi presentai all'allenamento del Villa Carcina vestito da portiere. Il completo me l'aveva dato mio padre dal suo negozio di abbigliamento sportivo. Al Villa sono rimasto poco, passando praticamente subito alla Voluntas. Dalla porta non sono più uscito.”
L'avventura con la Voluntas, e poi di conseguenza con il Brescia, vive di alti e bassi: “L'unico rammarico della mia carriera è quello di non essermi giocato al meglio le mie chances di entrare nel professionismo. Facevo parte della covata che poi vinse il torneo di Viareggio, con i vari Baronio, Tagliani, lo stesso Pirlo ogni tanto si allenava con noi. Qualche anno fa incontrai Aimo Diana in un locale alle due di notte e mi disse che ero stato proprio stupido a fare il matto quando bisognava tener duro per fare il grande passo, mentre lui probabilmente aveva fatto il contrario. In tal senso essere valtrumplino e vivere l'adolescenza in un certo modo non mi ha aiutato, forse ,scherzando ma neanche troppo, posso dire che se avessi conosciuto prima mia moglie sarei stato facilitato ad avere più equilibrio.”
La carriera tra i dilettanti è però stata di livello assoluto: “Questo in qualche modo mi ha sempre consolato, considerando che se fossi diventato professionista potevo rischiare di non avere la splendida famiglia che ho adesso, oppure di non instaurare rapporti umani significativi del quale sono molto orgoglioso. Ritengo poi che fare il “dilettante” sia piuttosto difficile. E' una passione che richiede tantissimi sacrifici, si dà molto e a volte si riceve poco. Di questi tempi poi con il rischio di infortunarsi gravemente si rischia di compromettere il proprio posto sul lavoro, dato che ad esempio con una lesione del crociato bisogna stare a casa per un paio di mesi e sono poche le ditte che te lo permettono. Sono fiero della carriera che ho fatto in questo mondo.”
Una carriera che ha preso il volo partendo da Bedizzole: “Resterò eternamente grato a quella piazza, mi ha fatto crescere come portiere e come uomo. L'ambiente è ideale per fare calcio, familiare e senza troppe pressioni quando le cose vanno male. Posso dire di avere tanti conoscenti nel calcio, a Bedizzole invece grandi amici. Giocando in Eccellenza con mister Inverardi ho avuto la possibilità di affacciarmi a certi tipi di palcoscenici, tanto da meritare la chiamata del Darfo.”
In neroverde il trionfo cui Bertoni è più legato: “Il 2006 è stato un anno davvero intenso per me, avevo subito la perdita di mia madre, mentre a luglio mi sarei sposato. La conquista di quel campionato di Eccellenza mi ha dato grande consapevolezza, inoltre con ansia attendevo la vetrina della Serie D e credo di aver dimostrato il mio valore anche in quella categoria.”
Sfruttando la dote che un portiere deve sempre avere: “Il coraggio. Senza quello non si va da nessuna parte. Il ruolo è un nostro dove avere personalità è fondamentale, più importante anche dell'aspetto tecnico. Io da quel punto di vista avevo alcune lacune, ma con voglia e dedizione ho rimediato, mentre il coraggio, forse anche aiutato dalla genetica, non mi è mai mancato. Per fortuna, perchè ci si può lavorare, ma di certo non puoi comprarlo all'Esselunga.”
Tra i colleghi Bertoni non ha dubbi: “Ho sempre ammirato l'umiltà di Frusconi, durante la stagione magari non ci sentiamo spesso, mentre in estate ci sono più occasioni per vederci di persona. C'è un rispetto reciproco molto profondo ed è una cosa di cui vado orgoglioso. Se devo indicare invece l'attaccante più temibile faccio fatica, forse perchè i più forti hanno sempre giocato con me. Rossetti e Sigalini erano uno spettacolo anche in allenamento, aver avuto l'opportunità di giocare insieme a giocatori di questo calibro è stato un grande piacere.”
L'estremo difensore valtrumplino ha indubbiamente le carte in regola per esprimere un pensiero sull'intero movimento calcistico: “Rispetto al recente passato, il livello generale si è abbassato e non poco. Oggi viene data la possibilità a giocatori mediocri di giocare in Lega Pro, ed è una catena che si trascina fino ai dilettanti. Non si guarda più il valore calcistico, ma solo la carta d'identità. L'aspetto paradossale è che queste regole ad hoc fanno solo il male dei giovani e stanno rovinando un intero sistema. Porto a esempio le parole di un amico classe 1959 che da tempo gioca negli Amatori: mi ha detto che ha perso voglia e divertimento di giocare, perchè certi ragazzi degli anni Novanta, un tempo quote ad esempio in Eccellenza, dopo il crollo delle loro illusioni hanno perso la passione per un certo tipo di calcio e sono finiti negli Amatori, chiaramente dominando dal punto di vista atletico e della corsa. Andrebbe effettuato un cambiamento di norme, ma purtroppo chi governa il nostro calcio è totalmente inadeguato al ruolo e soprattutto occupa le stesse poltrone da troppo tempo. Si parla tanto di allenatori superati, ma ad aggiornarsi e a fare corsi dovrebbero essere principalmente questi dirigenti incompetenti.”
Come detto, Bertoni ha da tempo iniziato un percorso in panchina: “Alleno gli esordienti del Lumezzane e mi piacerebbe provare a scalare qualche categoria. Sono ambizioso e non lo nascondo, essendo ora completamente libero nei week end posso anche puntare a qualcosa di più impegnativo. Sono molto legato al Lumezzane, essendo la società del paese in cui risiedo da anni e spero che i valgobbini riescano a centrare la salvezza. La differenza tra professionismo e dilettanti nel settore giovanile è un abisso, anche se in ogni caso la mia prerogativa è restare qui. Starà poi al Lumezzane fare le proprie scelte.”
Per chiudere in bellezza il percorso da giocatore invece resta solo un obbiettivo: “Ci tengo a dire che sono davvero orgoglioso del fatto che mi appresto a disputare Polpenazze per la ventesima volta con il Resto del Maury. Ciò che è stato fatto in questi anni è strepitoso, al di là delle quattro vittorie, anche se speriamo di regalare al Maury pure il quinto. Se lo merita senza ombra di dubbio.” La ciliegina su una torta già parecchio gustosa e ricca di sapori.