Addio a Costantino Bonomelli. Nella valigetta del "pres" 88 anni pieni di sport e vita

Un impermeabile beige, l’immancabile valigetta e quel vizio di rimborsare i pantaloni nel caso in cui fosse necessario scendere in campo, magari indossando pure gli scarpini, preferibilmente con tacchetti in ferro. Per molti è questa l’immagine più autentica per rappresentare Costantino Bonomelli, spentosi nei giorni scorsi all’età di 88 anni.

Protagonista di un viaggio intenso, appassionato, significativo, declinato al plurale e con svariati contesti a fare da scenografia. Calciatore nelle giovanili del Brescia, imprenditore nel settore della calzetteria, dirigente, allenatore, volontario, padre, nonno, amico. Tutto questo e molto altro. Il mondo dello sport è stato il suo habitat naturale e il calcio bresciano lo ricorderà a lungo per il segno lasciato dalla sua creatura: il Club Azzurri, consegnato agli almanacchi agli albori del nuovo millennio dopo aver assaggiato ogni categoria dilettantistica: dalle prestigiose stagioni in una Serie D voluta e conquistata a quelle più complicate tra Seconda e Terza Categoria. Parallelamente al pallone Bonomelli amava il profumo della pista di atletica. Fu massimo dirigente dell’Atletica Brescia dal 1982 al 2003, per poi diventarne presidente onorario.

Una vita piena, la sua. Un lungo percorso terminato venerdì mattina nella sua adorata chiesa di San Francesco da Paola, in via Benacense, dove è stato in prima linea per decenni, animato da una fede solidissima e dalla propensione al servizio, espressa concretamente nell’area amministrativa della parrocchia, nel consiglio pastorale e perfino come guida negli incontri di formazione per i genitori che si preparavano al battesimo dei figli.

Il campetto di calcio dell’oratorio oggi è un sintetico di ultima generazione, ma Bonomelli lo calcò spesso, con passione pura, quando la terra battuta ne condizionava il volto in ogni stagione. Ghiacciato nei mesi freddi, fangoso e inzuppato sotto la pioggia di primavera, polveroso e arido in estate. Calcio d’altri tempi, il suo, vissuto quotidianamente in modo viscerale.

Nel giorno dell’ultimo saluto tra i banchi della chiesa c’è anche Davide Onorini, attuale allenatore del Chiari. Verso la fine degli anni Novanta indossò la casacca del Club Azzurri. “Fui giocatore per 4-5 mesi, poi mi chiese di fare da allenatore-giocatore. Bonomelli era un vero conoscitore di calcio, una brava persona che brillava per disponibilità nei confronti dei ragazzi. Ricordo con affetto il suo legame indissolubile con il campo, il suo impermeabile, la sua voglia irrefrenabile di dare due calci al pallone, se necessario anche con i mocassini. Ha fatto qualcosa di importante per il nostro movimento. Il Club Azzurri per decenni è stato un gioiellino. Non dobbiamo dimenticarci, inoltre, del suo impegno in parrocchia, dove si è contraddistinto per la sua generosità”.

In ambito giovanile uno dei tecnici più longevi e vincenti del Club Azzurri fu Massimo Patelli: “Ho lavorato con lui per dieci anni, potrei raccontare tante cose ma scelgo un momento di difficoltà per sottolineare il livello della persona e del dirigente. Guidavo la squadra juniores regionale e nella prima stagione all’interno di questo gruppo si creò una situazione complicata. I risultati non arrivavano e nello spogliatoio c’era un bruttissimo clima, con alcuni giocatori che remavano contro. Convocò tutti e mi garantì totale appoggio e sostegno. L’anno successivo, con la medesima squadra, vincemmo il titolo regionale”.

Tra i giocatori il fedelissimo del pres è senza dubbio Gianantonio Pagani, classe ’83 che nella sua carriera ha indossato una sola maglia, quella del Club: “Iniziai a 5 anni nella scuola calcio e terminai il mio percorso nell’ultima stagione disputata dalla società, in Terza Categoria. Vent’anni indimenticabili. Quando il Club Azzurri sparì smisi di giocare. Del pres ricorderò sempre l’immensa passione. Metteva l’anima in ogni cosa che faceva e credo che questo sia stato l’insegnamento più importante che è riuscito a trasmettere ai suoi giocatori. La categoria non contava, quello spirito c’era sempre. Gli anni nel settore giovanile furono fantastici: arrivarono trofei e soddisfazioni, ma la cosa bella era il clima che si respirava. C’erano serenità e divertimento, sono nati legami autentici e amicizie che durano ancora oggi. Festeggiavamo sempre il Natale al convento delle Ancelle della Carità, a due passi dal centro sportivo di via Garzetta. Era un momento bellissimo. Noi ragazzi osservavamo i calciatori della prima squadra come se fossero supereroi. Con il passare degli anni le strade inevitabilmente si separano, ma quella maglia ha lasciato una traccia in tutti noi. Ricordo con emozione che il pres venne a salutarmi in chiesa nel giorno del mio matrimonio. Si soffermò con alcuni ex compagni di squadra. Ci disse che è fondamentale addormentarsi sempre in pace con la propria moglie, ogni sera. Riteneva che l’amore può e deve avere la meglio su ogni problema, che in una famiglia deve sempre essere così. È stato il suo ultimo insegnamento”.

Numerosi potrebbero essere i ricordi e gli aneddoti da snocciolare per disegnare un ritratto di Bonomelli, personaggio unico nel suo genere. C’è chi attinge dalla memoria gli incontri nel suo studio pieno di trofei; le barzellette negli spogliatoi; i risultati negativi cerchiati in “rosso sangue” sul calendario; la tendenza a pungolarti anziché a incensarti. Dentro di lui ardeva il fuoco sacro della competizione. Sapeva farsi sentire dalla tribuna e divampava in panchina. Indimenticabile un liberatorio “Baùscia!” rifilato a turbolenti tifosi milanesi dopo un colpaccio in trasferta, ma anche il ricorso vinto grazie alla fotografia ad un pallone troppo piccolo per essere regolamentare. Tra i fotogrammi emersi in questi giorni dal passato scegliamo un momento che riassume tutti i ruoli ricoperti e sintetizza l’anima sportiva del pres. Anno 2003: il Club Azzurri è in piena lotta salvezza in Seconda Categoria. Bonomelli è elettrico in panchina. In campo c’è il figlio Mario, mediano di sostanza che si affaccia raramente in zona gol. Quel giorno con un gran destro al volo realizza una rete da cineteca. Il pres, 68enne, schizza fuori dalla panchina come un razzo correndo ed esultando insieme ai suo ragazzi, poi vi fa ritorno asciugandosi le lacrime dagli occhi ed esclamando con un nodo in gola: “Ha fatto un gol come quelli che facevo io”.  

Oggi gli occhi lucidi sono quelli di Mario, che piange il papà insieme al fratello Pietro. Accanto a loro le nuore Nadia e Cristina e i nipoti Daniele, Chiara e Stefania, dei quali il presidente era orgogliosissimo. Le parole dell’ex centrocampista sono la sensibile sintesi del senso di una vita che ha toccato quelle di molti. “L’esperienza al Club Azzurri – ricorda Mario Bonomelli – iniziò insieme ad alcuni amici ex giocatori del Brescia, desiderosi come lui di insegnare il gioco del calcio ai giovani. All’epoca ero solo un bambino, ma ricordo ancora l’impegno profuso da tutti per far partire l’avventura della nuova società. Qualche volta mi portava con lui e, poiché non ha mai avuto la patente di guida, mi capitava di andare in auto con lui e Chico Nova, ai quali, da bambino sognante di diventare un calciatore, chiedevo sempre di raccontarmi delle squadre in cui avevano giocato. Sia da figlio che da giocatore dilettante sono sempre stato affascinato dal suo forte carisma. Posso dire che tutti quanti, collaboratori e giocatori, percepivano la sua dedizione ed il suo impegno, che così diventavano contagiosi in virtù dell’esempio. Ho sempre vissuto con grande trasporto tutti gli anni in cui ha fatto il presidente. Vittorie e sconfitte erano per lui fonte di tantissime emozioni che gli piaceva assaporare fino in fondo, da lottatore nato quale era. Con il Club Azzurri si è sempre speso al massimo, cercando in ogni contesto di ottenere il meglio possibile per tutte le squadre, anche quelle giovanili, desiderando sempre avere una formazione in ogni categoria di età. Non minore è stata la dedizione per l’atletica leggera che, come mi diceva sempre, considerava “la base di tutti gli sport“. Più di tutto nella gestione delle società sportive mi ha sempre colpito la sua capacità di parlare con le persone, coinvolgerle nei progetti e convincerle ad entrare a far parte del Club. Si è sempre preoccupato di tutti i dettagli, tanto che ricordo più di una volta di averlo visto preparare il tè caldo da dare ai giocatori durante l’intervallo della partita di calcio. In quei casi venivo cooptato come assaggiatore: sono ricordi per i quali adesso sorrido ancora, e spero di essere stato un buon gourmet di bevande rigeneranti ed infusi. In conclusione credo che l’insegnamento più grande che mi abbia lasciato sia quello di vivere con serenità e senza timore tutte le fasi e le situazioni della vita, dalle più belle ed esaltanti fino a quelle complicate. Spero che molte persone si siano sentite valorizzate vivendo gli anni dello sport con il papà, ed abbiano potuto cogliere gli stessi benefici di crescita personale per cui gli sono grato”.

Impermeabile beige, pantaloni rimborsati e scarpe coi tacchetti, ma soprattutto una valigetta piena di vita. Buon viaggio pres.

Bruno Forza




 

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