“Ho sempre percepito atmosfere strane nel mondo del calcio dilettantistico italiano. Spesso mi sono chiesto quale fosse il motivo di un tale accumulo di tensione. Certo, in molti aspirano a scalare le categorie, qualcuno ad approdare perfino nei professionisti, ma a mio avviso in questa corsa cieca si perde un po’ il senso e il bello di questo sport e della sua dimensione puramente passionale, che dovrebbe costituire la regola a questi livelli, non l’eccezione. Per me il calcio dilettantistico dovrebbe essere divertimento puro, incontro, condivisione. L’ossessione del risultato, della carriera e certe esasperazioni dovrebbero riguardare solamente chi pratica il calcio per lavoro. I professionisti appunto”.
Il pensiero di Leonardo Aleotti è alla base del Fenix Trophy, definito la “Champions dei dilettanti”. Un’etichetta certamente prestigiosa, ma forse riduttiva alla luce della filosofia nobile che ha consentito alla fenice viola di aprire le ali.
Il club manager del Brera racconta così la scintilla che diede inizio a tutto. “Eravamo in piena pandemia e, mentre le restrizioni ci opprimevano, io e mio padre non facevamo altro che pensare al calcio come via di fuga. In quei mesi prese forma l’idea di organizzare un evento che si riappropriasse di questo spirito, di un’identità più consona ai dilettanti, che si potesse condividere su scala nazionale e perfino internazionale. Ho iniziato una ricerca online molto approfondita per scovare i club che sposavano questa filosofia, profondamente legati al loro territorio, con proprietà gestite dai tifosi e magari anche impegnati anche a livello sociale, capaci di andare oltre la pratica sportiva e votati a fare del bene. Modelli alternativi, ma possibili, perché quello dilettantistico è un mondo unico, con potenzialità speciali”.
La ricerca, i primi contatti, le call. Semi che iniziano a germogliare per poi dare frutto. “In questi anni ho girato l’Europa e scoperto club e persone straordinari. Penso al Quenca Mestallistes, società di Valencia il cui presidente onorario è Mario Kempes, dove un gruppo di giornalisti è intervenuto per creare un nuovo corso nel segno del calcio popolare. Oppure l’FC United of Manchester, terza squadra di una città che respira calcio e lo vuole vivere con un’accezione fortemente identitaria. A Praga, invece, i Raptors puntano sull’inclusione e hanno una squadra multietnica. In Inghilterra il Lewes opera con dedizione sul fronte della parità di genere e lavora con impegno nel calcio femminile. In Italia il mio primo pensiero è andato alla Lodigiani, club mitico. Durante la pandemia ho inviato una miriade di messaggi e mail. Qualcuno mi rispose: ‘Sei pazzo? Non posso uscire di casa e tu vuoi organizzare un torneo internazionale?’. Il potere del calcio non ha eguali”.
Oggi il torneo è giunto alla terza edizione. “Quest’anno siamo partiti il 24 ottobre e la competizione si concluderà il 12 maggio con le finali di Desenzano. Nel mezzo ben 22 partite disputate in dieci nazioni diverse. E pensare che tutto ebbe inizio con 8 squadre e le call su zoom. Ora siamo in 12, suddivise in 4 gironi da 3. L’obiettivo per la prossima stagione è arrivare a 16 partendo dagli ottavi di finale”.
Il Fenix Trophy si disputa con gare infrasettimanali. “Le squadre si auto-finanziano, pagandosi viaggio e alloggio. La squadra ospitante, da regolamento, copre le spese per i transfer, una notte in hotel e i costi della terna arbitrale, prodigandosi anche nell’organizzazione della diretta streaming della partita. Offre inoltre la cena, il classico terzo tempo post partita. Oltre all’esperienza vissuta spalla a spalla dalle squadre c’è un avvicinamento significativo tra tifoserie. Esperienze uniche”.
Leonardo Aleotti è in prima linea: “Il mio è un compito di supervisione. Mi occupo anche delle relazioni con le federazioni dei vari Paesi. Quest’anno ho seguito 18 partite su 22 e sono diventato ambasciatore in Europa dei valori dei quali il torneo si fa promotore. Ho incontrato icone del calcio come Jari Litmanen (nella foto) e Jean Marie Pfaff”.
Il progetto è solo all’inizio: “Sogno la diffusione di un modello alternativo di dilettantismo. È un discorso che mi piacerebbe approfondire ai tavoli delle federazioni e, perché no, parlarne anche con l’Uefa, che potrebbe collaborare con noi alla realizzazione di un processo di selezione delle squadre non vincolato ai meriti sportivi, ma a quelli valoriali, sociali, umani, andando a creare una rete di club virtuosi che si alimenti nel tempo”.
Dopo Rimini e Milano, il Fenix Trophy sarà alzato nuovamente domenica 12 maggio, questa volta nel cielo di Desenzano. “Mare, metropoli e ora lago. Per noi legare la final four ad aspetti di attrazione turistica è importante. Ci aspettiamo un buon seguito di tifosi a Desenzano. Confidiamo che oltre ad inglesi e cechi ci siano tanti italiani desiderosi di fare festa, estendere i loro orizzonti e contribuire al volo della fenice”.
Bruno Forza