Dal cappello di nonno Mario al sogno playoff. Andrea Baronio racconta il "suo" Depor

Esistono un numero infinito di buone ragioni per fondare una squadra di calcio. Il Deportivo Fornaci ha visto la luce grazie a un ricordo toccante e a un desiderio insopprimibile.

“Vedere quel campo vuoto mi infastidiva – racconta Andrea Baronio – vicepresidente biancoblù (nella foto con mister Mazzu). Lo guardavo e mi sembrava di scorgere il cappello di mio nonno, in lontananza, che si avvicinava per assistere alle partite del nipote e della squadra del quartiere. In giro, poi, c’erano tanti amici con i quali avevo condiviso belle esperienze calcistiche e poteva rinascere un bel gruppo. Nel 2018 ho preso in mano il telefono e li ho chiamati. È nato tutto così”.

L’indimenticabile sagoma del cappello di nonno Mario ora è tatuata sul braccio di Baronio, ma anche nel dna del Deportivo Fornaci, con coincidenze che hanno generato esperienze di rilievo. “Ai tempi del servizio militare mio nonno conobbe Giacomo Losi, l’ottavo re di Roma, che era di Soncino. Si trovava in una trattoria a due passi dalla stazione ferroviaria insieme alla squadra e, sentendo l’accento inconfondibile chiese al nonno: ‘Sét de Brèsa?’ Finì a pranzare al tavolo dei giallorossi, una cosa impensabile al giorno d’oggi. Da allora divenne tifoso romanista. Qualche anno fa mi trovavo nella capitale agli internazionali di tennis e incontrai il presidente del Coni Giovanni Malagò. Gli raccontai l’aneddoto, mi prese in simpatia e mi aprì i cancelli di Trigoria. Incontrai Totti e compagni. Quel giorno gli parlai anche del Depor, società bresciana di Terza Categoria. Gli dissi che non era giusto accogliere solamente l’élite dello sport, perché la base conta davvero tanto. La sua risposta? Un invito ufficiale nella sala d’onore per il Deportivo Fornaci. Andammo tutti a Roma e gli donammo la nostra felpa. Un’esperienza straordinaria”.

A Baronio brillano gli occhi. Nella breve ma intensa storia del Deportivo ci ci sono dettagli intrisi di passione per il calcio. “Perché Deportivo? La provincia è piena di Real e Atletico, mi sembrava un cambio di rotta intrigante. Poi da ragazzo sceglievo sempre i biancoblù di Diego Tristan a Iss Pro Evolution. I colori sociali sono gli stessi di Fornaci”.

La prima amicizia della lunga serie è stata quella con il presidente Daniele Varianti. “Un tempo eravamo compagni di squadra, siamo cresciuti fianco a fianco fin da bambini. Una volta scoccata la scintilla abbiamo deciso di rimboccarci le maniche e di portare avanti insieme questo progetto. Purtroppo il Covid ci ha bruciato un anno e mezzo di attività, ma questa stagione ci sta ripagando con gli interessi. La conquista dei playoff è stata una soddisfazione incredibile. Al gol decisivo sono scoppiato a piangere. Per me questa squadra è qualcosa di speciale, una passione immensa, c’è un legame viscerale. È la mia Serie A”.

La rosa è composta per la maggioranza da atleti di Fornaci e dintorni. “Siamo un quartiere piccolo, ma puntiamo sul bacino della nostra zona e sulla territorialità. Per noi è significativo avere in tribuna la gente di Fornaci che viene a sostenerci, trovare il supporto di piccole aziende che ci danno una mano, fare le nostre cene alla locanda Crocevia, coinvolgere le famiglie dei giocatori. Io faccio di tutto, ma ovviamente gli aspetti tecnici li lascio a mister Mazzu e al suo staff. Il mio compito primario è trasmettere l’amore per questo progetto e per questa maglia. Credo di esserci riuscito”.

Baronio analizza così il campionato appena concluso: “Il primo posto, forse, era fattibile, ma do i giusti meriti al Serle, che ritengo avesse una marcia in più. Le prime cinque sono tutte buone squadre, il livello in Terza Categoria è cresciuto”.

Ora è il momento di coltivare il sogno promozione. “Ci proveremo. Se non accadrà quest’anno sarà per il prossimo, senza patemi d’animo. A medio termine ci piacerebbe eguagliare il massimo traguardo raggiunto storicamente da Fornaci: la Prima Categoria”. Magari iniziando a seminare anche in ottica giovanile: “Diverse mamme del quartiere mi hanno esposto la loro speranza che possa nascere qualcosa del genere. Ci proveremo, magari già dal prossimo anno, valutando i numeri e le annate che emergeranno. Il pensiero di vedere dei bambini correre felici con la nostra maglia mi esalta, anche perché prima o poi dovremo lavorare ad un ricambio generazionale. La nostra squadra ha un’età media piuttosto alta, dovremo essere bravi a seminare passione. I giovani ne hanno sempre meno e quella non si compra. Vedo poca voglia di allenarsi e fare sacrifici, sento di juniores che rifiutano le prime squadre. L’obbligo delle quote non risolve affatto il problema, anzi”.

Tra i leader c’è Elis Cuel, colonna della difesa e trascinatore a 44 anni: “Aveva praticamente smesso dopo l’esperienza a Flero. Siamo parenti, mio nonno era suo zio. Gli ho chiesto di non mollare per lui e di raggiungermi al Depor, si allena e gioca con la passione di un bambino e la domenica è fondamentale. Merita una menzione speciale anche il capitano  Mirko Raffi, presente dall’inizio di questa avventura e che ci tiene quanto me. È un ragazzo d’oro, un esempio da seguire. La cosa bella è che abbiamo uno zoccolo duro di una dozzina di calciatori che costituisce l’anima della squadra e che rende possibile l’esistenza di un gruppo forte, fondamentale per fare le cose per bene. Qui nessuno riceve rimborsi, si gioca per puro divertimento, per senso di appartenenza e per la voglia di condividere belle esperienze”.

Una filosofia condivisa e applicata da mister Mazzu: “È un bravo allenatore. Una persona che a livello umano mi ha stupito. Era già mio amico, ma il calcio mi ha aiutato a conoscerlo meglio e ad apprezzarlo ancor di più. Nello spogliatoio si respira dialogo, armonia, allegria. È fondamentale. Il calcio in Terza deve essere divertimento, svago, amicizia, altrimenti non avrebbe senso. Questo non significa che non si facciano le cose per bene. Noi andiamo pure in ritiro. Abbiamo fatto tre giorni a Ponte Caffaro, con le camere organizzate per far legare chi si conosceva meno. È stato fantastico, sono esperienze che uniscono e generano ricordi indelebili”.

Dal cappello del nonno al brivido dei playoff, passando per amicizie ritrovate, la sala del Coni e la rinascita calcistica di un quartiere, in attesa di nuove pagine da scrivere. Il calcio è emozione.

Bruno Forza

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