Rass.stampa - Corriere Brescia, top 100 affluenza stadi: Brescia a metà, Feralpi in fondo

Quanto sposta il fattore campo in campionati professionistici? La spinta dei tifosi è percepita dai protagonisti? Come vivono il calcio seguito dal vivo le piazze italiane? E, soprattutto, quali sono quelle più partecipative? Quali quelle più fredde? Ci sono notevoli fattori che incidono sul dato dell’affluenza agli stadi italiani: gli stadi stessi (moderni o fatiscenti, grandi o piccoli, accessibili o lontani, …), le abitudini di una città o di un paese, l’andamento positivo o negativo della squadra tifata. Il Corriere della Sera-Brescia ha messo ordine all’interno di un paesaggio eterogeneo, stilando la top 100 dell’affluenza media in partite interne delle società della Penisola durante il girone d’andata (dati raccolti da Stadiapostcards e Tranfermarkt). La classifica si presta ad alcune interessanti letture.

 

 

Innanzitutto, le posizioni delle bresciane. Con 6.162 tifosi, il Rigamonti di Brescia si prende la 40ª posizione; se fosse una graduatoria di campionato, sarebbe sul suo lato sinistro, seppur di poco. Davanti alle rondinelle diverse squadre di C: grandi città (soprattutto del sud) o club storici, perlopiù: Catania (il Massimino, 18°, sta sopra anche a 6 stadi di A), Cesena, Vicenza, Spal, Avellino, Triestina, Taranto. Trapani e Sambenedettese arrivano appena dopo il Brescia, nonostante militino in Serie D.

La top 10 è fatta di sola Serie A. Domina il Meazza di Milano (Inter prima, Milan secondo), poi l’Olimpico di Roma, intervallato dal Maradona di Napoli. Il Castellani di Empoli, 28°, è fanalino di coda di categoria. Il Marassi sponda Sampdoria e La Favorita di Palermo guidano il treno di cadetteria (11ª e 12ª posizione). Al numero 100 c’è una squadra di Lega Pro, la Carrarese tifata da Gigi Buffon, al 99 il Grosseto di Lega Pro. Le ultime 20 sono tuttavia ristrette in un intorno di circa 500 spettatori, dai 1.303 dello Stadio dei Marmi ai 1.883 del Curlo di Fasano. In questo intorno c’è anche l’ultimo club di Serie B, staccato di 31 posti dal penultimo (il Cittadella, piccolo comune di Padova, dotato però di uno stadio, il Tombolato, ormai meta classica per la serie).

Con 1.451 anime a incontro, la Feralpisalò occupa la 93ª piazza. Come scritto in apertura, vanno considerate tutte le circostanze nelle quali la società gardesana si trova a giocare: intanto la struttura di riferimento non è il Turina, non a norma per la B, ma (dopo il rifiuto di Cellino di concedere il Rigamonti) il Garilli di Piacenza, che si trova a 117 chilometri da Salò. Il bacino di tifo è nettamente il minore rispetto alle concorrenti, uno dei più bassi tra tutte le località dalla A alla D, paragonabile solo proprio a quello di Cittadella, che però ha più storia calcistica (è stato fondato nel 1973, la Feralpi nel 2009, e da diversi anni è stabile in B) e ha comunque il doppio degli abitanti: 20.000 circa contro 10.000 circa. In più c’è l’andamento in campionato.

Vero che è la prima storica volta nella seconda serie italiana, conquistata con una meravigliosa vittoria in Lega Pro, ma un’andata fatta di 11 sconfitte in 19 partite (peraltro la prima e unica vittoria casalinga è arrivata solo alla 17ª giornata) non ha favorito certo il montare dell’entusiasmo, al di là del servizio navetta messo a disposizione dal presidente Pasini, e dagli appelli continui (a volte velati di un tono polemico) dello stesso, degli allenatori (Vecchi prima, Zaffaroni poi), dei giocatori e dei responsabili della comunicazione verdeblù. La risposta è sempre stata scarsa, nell’ordine delle poche decine. Sì, perché di quei mille e passa tifosi che pagano il biglietto, la grande maggioranza è fatta di ospiti.

Un’ultima curiosità: il Garilli è in classifica chiaramente anche con la squadra della sua città, il Piacenza Calcio: si trova 85°, con 1.702, ovvero 251 in più di quando gioca la Feralpi. Lontani i tempi dei biancorossi di Piovani e dei fratelli Inzaghi, della Serie A di fine anni Novanta. Ora gli emiliani soffrono in Serie D, nel girone di Desenzano e Pro Palazzolo.

 

 

Matteo Carone

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