Viaggio a Marrakech restando in città. Impresa del Marocco e anche Brescia si tinge di rosso

Marrakech è la città rossa. Rossa come le sue antiche mura d’argilla, come la sabbia del deserto, come il sole che tramonta nell’Atlantico, come le maglie della nazionale marocchina che sta entusiasmando un popolo e sorprendendo il mondo. Marrakech è anche il nome di un ristorante bresciano che ti catapulta in un’altra dimensione. L’ingresso al locale di via della Volta è una porta spazio-temporale che conduce dal grigiore di una delle strade più trafficate della città ad un contesto lontano e diverso da ciò che è casa, ma intrigante e avvolgente. Cambiano i profumi e i colori, le forme e i ritmi, i suoni e i profili degli arredi, degli oggetti, dei volti.

Abbiamo scelto di seguire qui Portogallo-Marocco, continuando a guardare verso Qatar 2022 con occhi altrui, ma senza staccare le radici dalla nostra provincia, anzi, restandole ancorati con uno sguardo nuovo, proveniente da storie di vita nascoste e luoghi ricchi di contenuti ma lontani dalle rotte quotidiane della stragrande maggioranza delle persone.

Entriamo al Marrakech con largo anticipo rispetto al fischio d’inizio. La sala principale è un vero e proprio shisha bar, la tipica area dedicata al fumo e alla socialità, abitudini della cultura magrebina. Le bocche sono incollate ai tubicini che aspirano essenze lontane; gli occhi puntati sul maxi-schermo per captare le prime sensazioni del match, mentre le due squadre scaldano i muscoli. È passando sotto l’arco che conduce alla sala dedicata alla ristorazione che ci immergiamo definitivamente nelle atmosfere dei padroni di casa, lasciandoci andare alla comodità di morbidi cuscini luccicanti, ma soprattutto all’inebriante tepore del tipico tè marocchino alla menta, servito con abile maestria dall’alto. Una cascata bollente che precipita in bicchieri cilindrici in vetro lavorato. Ora siamo in Marocco e ce lo confermano le bandiere rosse strette tra le mani di ragazzi, uomini e donne che iniziano a riempire i tavoli in un clima di festa e unità.

Tra loro c’è Josef, venticinquenne che ha trascorso tutta la sua vita in Italia. “Quando arrivai qui avevo un anno. La mia famiglia iniziò una nuova vita a Brescia. Io mi sento diviso a metà, amo entrambi i paesi, ma credo che sia importante dare valore alle proprie origini. Questa bandiera è incisa nel mio cuore, dove c’è grande spazio anche per quella dell’Italia, alla quale sarò sempre grato. Un Mondiale senza azzurri è inaccettabile, ma in Qatar ci sono tanti giocatori che militano in Serie A e ci rendono comunque onore”.

Il discorso si sposta inevitabilmente sulla selezione guidata da Walid Regragui. “Questa cavalcata è emozionante. Il Marocco sta scrivendo la storia. Il calcio ha un potere incredibile. La squadra sta mandando un messaggio straordinario ad un popolo intero e non solo. Ci sta dicendo che bisogna sempre credere nei propri sogni e che non bisogna arrendersi mai, perché tutto è possibile se dai il massimo, se cerchi di migliorarti e se riesci a fare gruppo, a unire le forze. Arrivare in semifinale non sarà semplice, ma ci proveremo”.

Le note di speranza liberate nell’aria dalla voce di Josef si mescolano a quelle dell’inno marocchino, cantato con voce sommessa e occhi luccicanti dai tifosi ormai assiepati su divani e sedie. La partita inizia, raccontata in arabo da un telecronista che descrivendo ogni dettaglio, ogni azione, ogni emozione fino all’ultima bolla di ossigeno disponibile. La sua lingua e il suo stile non lasciano spazio a pause e se chiudi gli occhi potresti ritrovarti in piazza Jemaa El Fna, tra incantatori di serpenti, artisti di strada e mercanti.

Il Portogallo tiene in mano le redini del gioco, ma il Marocco è vivo, determinato, affamato. Difende con ardore e riparte con qualità e velocità, consapevole di poter ferire gli avversari. In sala non vola una mosca, soprattutto quando la palla è tra i piedi dei lusitani. Le lingue si accendono e si agitano all’improvviso quando i giocatori in maglia rossa superano la metà campo. È il segnale, la fiammata di harissa, la tipica salsa al peperoncino, che scatena il solito coro cadenzato e potente: “Sì, sì, sì, sì!”, come a dire: “Affermativo, ragazzi, andiamo in porta”.

Al 42′ sogno e realtà si strizzano l’occhio. Cross dalla sinistra di Attiat Allah e uscita a vuoto di Diogo Costa, con En Nesyri che sfida le leggi della fisica, vola altissimo e insacca, di testa, scatenando un’esplosione di gioia che dallo stadio Al Thumama si propaga in ogni frammento rosso sparso per il mondo, compreso quello di via della Volta.

“La nazionale ci sta trasmettendo una grande passione – racconta Giselle, titolare del ristorante Marrakech -, è bello vedere tante persone che riscoprono il piacere di stare insieme grazie al calcio. Solitamente qui la maggioranza della clientela è italiana, ovviamente quando ci sono le partite è diverso. Sono arrivata in Italia cinque anni fa, vengo da una cittadina del nord, sul mare. Quello da cui provengo è un Marocco con forti influssi spagnoli, molto europeo e più aperto. I miei famigliari hanno preferito la Francia e la Spagna, io credo che l’Italia sia speciale, questo paese ti entra dentro e non puoi più lasciarlo. I bresciani? Sono molto ancorati alle loro tradizioni, piuttosto abitudinari, ma se provano la nostra cucina se ne innamorano”.

Giselle ci dimostra la validità della sua tesi servendo un superbo tajine al manzo, piatto unico tradizionale che ci gustiamo durante la ripresa. Una pietanza ricca, intrisa di identità e di forti contrasti. Il copione di gara va più o meno nella stessa direzione. La carne è morbida come le giocate di Hakimi, Ounahi e Ziyech, la meravigliosa catena di destra del Marocco; ma qua e là ci sono noci e mandorle spigolose, croccanti rumorose come le offensive portoghesi, che tengono sulle spine i tifosi, già spaventati dalla traversa di Bruno Fernandes. La testa di Ramos sfiora il pari ed è ancora Bruno Fernandes, poco dopo, ad andare vicino all’1-1. Le olive sono saporite e piccanti, come le giocate di Leao e Ronaldo. Le prime scatenano l’allerta delle papille gustative; i secondi fanno tremare di paura le pupille, ormai lucide. Il vortice di emozioni è influenzato anche dalla dolcezza delle prugne, nere come gli occhi delle ragazze che si stringono le mani per trasmettersi forza, estasiate dalle parate decisive ma anche dallo sguardo avvenente di Bounhou, l’estremo difensore marocchino.

I minuti scorrono lenti. Ad alleviare la sofferenza arrivano i contropiedi che scatenano i “Sì, sì, sì, sì” della curva rossa. L’illusione del 2-0, però, sfuma e il colore nazional-popolare si ribella, sventolato sotto il naso di Cheddira, attaccante del Bari espulso all’apice della tensione. Il Marocco resta in dieci, ma resiste e insiste nel suo catenaccio all’italiana, fino al tripudio finale, fatto di abbracci, grida e di quella gioia profonda da coltivare per altri 180 minuti, quelli che separano la rivelazione di Qatar 2022 dalla Coppa del Mondo.

Il viaggio continua e la storia viene riscritta. Il Marocco è la prima squadra africana ad approdare alle semifinali di un Mondiale. La festa si sposta oltre le mura del covo di casa, a colpi di clacson e con le bandiere fuori dal finestrino, nonostante il freddo pungente di dicembre. Marrakech torna a lasciare spazio a Brescia, ma la colora di rosso e racconta, grazie al pallone, un pezzo di sé.

Bruno Forza

 

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