Eduardo Galeano, celebre scrittore e giornalista, scriveva che “nella vita un uomo può cambiare moglie, partito politico o religione, ma non può cambiare la sua squadra del cuore”. Una maglia è una seconda pelle, come un tatuaggio.
Ne sa qualcosa Marco Gozzetti, in arte “Gozzo”, titolare dello studio Pelle d’Inkiostro, leader bresciano nel settore dei tattoo. “Ci sono numerosi punti di contatto tra i due mondi. In entrambi i contesti sacro e profano si mescolano. Lo dico sempre, ognuno può vivere l’esperienza del tatuaggio a modo suo: come moda, vezzo, orpello, celebrazione, ma prima di tutto va ricordato che è l’unica cosa che porterai con te per sempre, fino alla tomba. Per chi lavora nel mio settore questa è una grande responsabilità, ma anche un grande onore”.
La storia di Gozzetti è di quelle da raccontare. “Sono figlio di un imprenditore bresciano e prima di aprire la mia attività lavoravo nell’azienda di famiglia. Ero scontento, esuberante e fin troppo sopra le righe, ma intraprendente. Ho sempre avvertito dentro di me l’amore per il bello e per l’arte, soprattutto quella figurativa, che si può ammirare anche nei tatuaggi”.
Puntini sparsi che si potevano e dovevano unire. “Dieci anni fa decisi di uscire da una zona di comfort che non sentivo mia e mi dedicai con tutto me stesso ad una ricerca di mercato necessaria a comprendere se fosse fattibile e saggio trasformare la mia passione in professione. Lo feci in un modo nuovo rispetto alle tendenze dell’epoca, portando a Brescia il primo studio all’americana, ampio nelle metrature e con diversi addetti, ciascuno dei quali dotato di uno stile differente rispetto ai colleghi. Partii timidamente, con qualche inevitabile timore, ma il tempo mi ha dato ragione e dopo dieci anni posso dire di aver vinto la mia partita”.
Le difficoltà non sono mancate, come in ogni storia di successo. “Le abbiamo dribblate puntando sulla professionalità. In questi anni ho visto tante serrande abbassarsi nel nostro settore. Oggi occorre fornire un servizio di alto livello. Il tatuatore anni Novanta un po’ pazzo, rock and roll e magari dedito al vizio non può più funzionare. Per essere competitivo devi essere imprenditore: occorrono un ottimo prodotto, strategie e tecnologie. Lo zoccolo duro dei nostri clienti è nel raggio di 20 chilometri dalla nostra sede di Capriano del Colle: arrivano da Brescia, hinterland e Bassa, ma non solo. Abbiamo tatuato persone provenienti da Milano e perfino dalla Val di Non”.
Ad incoronare Pelle d’Inkiostro non ci sono soltanto i numeri e la storicità: “Da otto anni sono docente del corso di tatuaggi organizzato da Ok School. Ho partecipato a parecchie convention di settore e a tavole rotonde con i membri dell’Ars, l’ente che vigila sulla nostra professione. Dieci anni fa in provincia c’erano 94 partite iva legate al nostro settore. Oggi sono almeno 150 e la piaga dell’abusivismo continua ad essere una mina vagante. Poter contribuire ad uno sviluppo virtuoso del settore è una soddisfazione”.
Il mondo del calcio è ovviamente fonte d’ispirazione per molte persone che intendono imprimere fotogrammi e concetti sul proprio corpo. Tra i top player, peraltro, non mancano i testimonial: “I primi a sdoganare il tatuaggio sui grandi palcoscenici furono Vieri, Materazzi, Beckham e Ibra, poi sono arrivati i vari Vidal, Icardi, Bernardeschi. Forse oggi è più difficile trovare giocatori senza tatuaggi. Da noi sono passati tantissimi dilettanti bresciani e appassionati di calcio. Inevitabile: la passione in provincia è fortissima. I soggetti più diffusi riguardano simboli relativi al mondo ultrà e al Brescia Calcio. In molti hanno scelto il volto di Baggio”.
Il tatuaggio biancoblù più significativo fatto al Pelle d’Inkiostro, tuttavia, riguarda un allenatore: “Carletto Mazzone. Un tifoso ha voluto fermare il tempo sulla sua folle corsa sotto la curva dell’Atalanta. Una volta terminato il lavoro girammo la foto al mister tramite Facebook. Ci rispose il nipote, dicendo che Carletto ne era rimasto profondamente colpito e commosso. Io quella corsa la vidi dal vivo, al Rigamonti. Un momento che resterà nella storia del calcio. Dopo la mano de Dios, secondo me, c’è la corsa di Mazzone”.
Ricordi indelebili. “Assolutamente. Io non sono mai stato un calciatore praticante. La partitella tra amici con scarsi risultati è sempre stato il mio massimo, ma quegli anni vissuti da ultrà li ricordo con entusiasmo. Fondai la sezione di Fiumicello, quartiere cittadino dove sono cresciuto. Eravamo tanti, giovani e teste calde. Il tifo era vissuto diversamente rispetto ad oggi. Non c’erano tessere del tifoso, tornelli e diffide facili. Il campanilismo era più radicato. Io stesso più di vent’anni fa mi tatuai sul petto una leonessa con la V bianca e la scritta Ultras Brescia. Fu il mio primo tatuaggio. Vivere il periodo di Baggio, Guardiola, Appiah e i gemelli Filippini fu un privilegio. Vi ricordate la chioma di Bachini? Fenomenale. A parte questo inciso devo dire che il mondo delle tifoserie, visto da dentro, è diverso da come viene dipinto. La solidarietà è un valore e nonostante alcuni atteggiamenti al limite esiste un codice etico”.
Accanto al simbolismo calcistico ci sono un universo di disegni che passano dalla realtà e dalla fantasia alla pelle. “In questi anni abbiamo fatto di tutto. Zampette di cani, animali di ogni tipo, oggetti, personaggi storici e fantasy, luoghi e paesaggi, parole e scritte, ma anche totali assurdità. Non potete nemmeno immaginare quante rappresentazioni di vulve abbiamo realizzato. C’è stato un periodo in cui andavano molto di moda anche i ‘cazzetti’. Di cose demenziali ce ne sono state parecchie. Io stesso mi sono reso protagonista di scambi di tatuaggi a margine di serate memorabili con cari amici. Hanno una qualità davvero discutibile, ma il momento vissuto, in quel caso, conta più dell’estetica”.
Al di là di questi exploit di follia va sottolineato che molto spesso dietro a un tatuaggio si celano significati profondi e storie di vita toccanti. “Nella maggioranza dei casi c’è qualcosa di fortemente personale in ogni scelta, accompagnata da un carico emotivo davvero forte. Ho assistito alla creazione di molti volti di persone scomparse, ma anche a firme di genitori, dediche e perfino lettere scritte da mamme malate ai figli, che le hanno riportate integralmente sulla pelle. Durante e dopo la pandemia anche il Covid è diventato protagonista. Parecchie persone hanno voluto celebrare la sua sconfitta. I miei tattoo? Sono tantissimi. Quello a cui sono maggiormente legato è l’orco che campeggia sul braccio. Avevo tenuto quello spazio libero da tempo. Volevo metterci un mostro, simbolo dei miei demoni interiori. L’avrei fatto solo dopo averli sconfitti, ed è accaduto. Ho chiuso così un cerchio, e l’orco è lì a testimoniarlo”.
E poi ci sono i tatuaggi sul cuore, quelli che non si possono vedere, ma contano. “So di avere un aspetto burbero, il mio carattere particolare e un passato discutibile alle spalle, ma oggi posso dire di aver realizzato qualcosa di importante nella vita. Mi ritengo una persona di cuore, con capacità di ascolto e disponibile a prodigarsi per il prossimo. In questi anni Pelle d’Inkiostro ha raccolto fondi per i terremotati di Amatrice e investito tempo e risorse per dare un nuovo volto verde ad aree degradate della provincia, in collaborazione con Piantumazione Selvaggia. Insomma, sono rude fuori, ma tenero dentro”.
Bruno Forza