“Come trattare gli altri e farseli amici” è uno dei libri più venduti di tutti i tempi. L’edizione originale fu scritta da Dale Carnegie nel 1936, ispirando intere generazioni in materia di crescita personale, relazioni umane, leadership. Un manuale illuminante, intriso di principi utili in qualsiasi campo della vita. Pagine che insegnano a calarsi nei panni dei propri interlocutori; ad essere comprensivi; ad evitare discussioni controproducenti; a mostrare rispetto per le opinioni di tutti; ad ammettere i propri errori per migliorare e centrare obiettivi ambiziosi.
Come sarebbe andata la conferenza stampa organizzata ieri dal Brescia Calcio se si fossero seguite simili linee guida? Purtroppo non è stato così. Eppure il confronto con i media e, di riflesso, con la città, avrebbe potuto costituire un punto di svolta, un tentativo estremo di pacificazione per un bene comune. È andata molto diversamente, con la società che si è resa protagonista di una prestazione pessima dal punto di vista comunicativo. Un autogol letale in un momento delicatissimo, in cui era fondamentale provare a ricucire il rapporto con la piazza che, ormai, è definitivamente compromesso.
Il tavolo della sala stampa era colpevolmente sguarnito, con il solo direttore generale Luigi Micheli a metterci la faccia in un momento storico a dir poco complicato. Occorreva riempire qualche sedia in più, e portare davanti ai microfoni sia il presidente Cellino sia il ds Perinetti. Magari con uno spirito distensivo e costruttivo, umile seppur passionale.
“Le domande di natura tecnica non dovete farle a me, sono questioni che non mi riguardano” si è affrettato a sottolineare Micheli gettando immediatamente nella spazzatura quello che doveva essere il nocciolo della questione.
Sacrosanto il monito anti-violenza annunciato in apertura, quando il dirigente ha reso noti gesti inaccettabili compiuti da alcuni tifosi, che si sarebbero resi protagonisti di lanci di uova sulle finestre della sede e di un’aggressione alla vettura del presidente all’uscita dei cancelli del centro sportivo di Torbole Casaglia. 3-4 persone che, secondo la ricostruzione di Micheli, erano armate di cinghie. Azioni da condannare senza se e senza ma, per denunciare le quali, tuttavia, sarebbe bastato un comunicato stampa.
Sono invece seguiti 35 minuti di goffe arringhe difensive, spesso fuori tema, infiammate da discussioni al limite con i giornalisti. Risposte assenti o incomplete, condite talvolta da uno stile discutibile, con parole volgari che gettano ulteriore ruggine sullo stile del club.
Dopo la doverosa introduzione, Micheli ha innanzitutto puntato il dito su parte della stampa locale, rea di fomentare odio nei confronti del club e del presidente attraverso una “martellante campagna denigratoria”. Subito all’attacco, dunque.
Poi il repentino passaggio al catenaccio difensivo: “Non siamo una società di scappati di casa, anzi, siamo un modello virtuoso dal punto di vista gestionale e dei bilanci, che sono pubblici e possono essere analizzati”. Il contrattacco: “Ho sempre detto a Cellino che non riuscivo a capire come mai avesse acquistato una società nelle condizioni in cui si trovava il Brescia, firmando un contratto capestro con il Comune sullo stadio. Le dimissioni di Aldo Ghirardi e Giampiero Rampinelli Rota? Colpa del clima che si è creato, non delle decisioni del presidente. Loro sono bresciani, soffrono di più, io il sabato vado a casa e torno il lunedì mattina. Altra cosa: perché l’imprenditoria bresciana non si fa viva per acquistare il Brescia?”.
Nessun cenno ad eventuali errori, nessun esame di coscienza, nessun tentativo di fare un passo incontro ai bresciani, chiamandoli a raccolta. Nessuna promessa motivante. Nessuna parola sensibile nei confronti di una bandiera come Davide Possanzini, letteralmente calpestata.
Ad un tratto arriva perfino lo scivolone, la caduta di stile: “Nessuno di voi ha sviscerato il problema Reggina, che ormai paga solo gli stipendi e ha presentato una domanda di concordato. Secondo noi va esclusa dal campionato”.
Focus esclusivamente sui temi economici, dribblando la classifica, la serie infinita di esoneri, i mancati innesti nelle finestre di calciomercato e la scarsa qualità dei rapporti instaurati con i bresciani nel corso degli anni. “Chiedete a Cellino o a Perinetti” è il mantra, snervante, enunciato da Micheli. Presidente e direttore sportivo, però, sono assenti.
Altri passaggi fanno rabbrividire. “Gli ospiti delle vostre trasmissioni sparano c*****e, sento discorsi senza fondamento, qui c’è gente che lavora dieci ore al giorno. Non me ne frega un c***o se avete stima nei miei confronti. Io penso al bene del Brescia e continuare a mettere in discussione Cellino è sbagliato. Qui si cerca di strumentalizzare tutto. Dal punto di vista tecnico posso solo dire che la squadra non merita questa classifica. Per il resto non sono Cellino, non posso rispondere alle vostre domande. Fa lui la formazione? Allora vuol dire che abbiamo avuto allenatori che sono dei c******i”.
Infine uno sguardo realistico al futuro del Brescia: “Voi oggi comprereste il Brescia Calcio? Il suo valore è troppo incerto e dipenderà dal risultato sportivo (ecco che parte tecnica ed economica, finalmente, si toccano ndr). A fine stagione, se dovessimo retrocedere, il club potrebbe valere zero. Dobbiamo aspettare. Sono convinto che ci salveremo. Davanti a un’offerta importante è giusto che Cellino venda. Che c***o ci sta a fare qua? È odiato da tutti”.
Si chiude il sipario su un pomeriggio che non rende onore alla Leonessa, sempre più spogliata del suo orgoglio, ferita e tremante. Le reazioni dei tifosi sui social non si fanno attendere: un coro unanime di disapprovazione. Non resta che attendere la reazione della squadra sul campo, unica speranza.
Bruno Forza