Elezioni CRL. Alberto Pasquali ci riprova: "Sono la voce fuori dal coro, il candidato del cambiamento"

Il conto alla rovescia sta per finire. Le società lombarde sono chiamate ad esprimersi e a scegliere tra Alberto Pasquali e Sergio Pedrazzini chi sarà l’erede di Carlo Tavecchio alla presidenza del comitato regionale della Lnd.

In attesa delle votazioni del prossimo 25 marzo abbiamo parlato con il candidato bresciano, che per la seconda volta concorre alla poltrona della sede di Milano dopo il testa a testa con l’ex presidente della Federcalcio, che nel 2021 la spuntò per una manciata di voti. Seguirono fiumi di polemiche, con un ricorso sul quale il Tar del Lazio, nelle scorse settimane, ha messo la pietra tombale.

“Ho perso perché giustizia sportiva e Tar non sono entrati nel merito dell’accaduto e credo che non sia stato giusto. So che qualcuno ha messo in discussione il senso di queste nuove elezioni, affermando che il vicario avrebbe dovuto succedere a Tavecchio, ma mi risulta che in politica, solitamente, entri in carica il primo dei non eletti in situazioni di questo tipo, quindi c’è poco da discutere. A rigor di logica ritengo che sarebbe stato sensato promuovere il vice, ma le regole sono altre, quindi invito i miei rivali a lasciare da parte i vittimismi e ad accettare il confronto, consapevoli di quanto accadde nel 2021. Tutti sanno che quell’elezione doveva essere invalidata. Lo ripeto: abbiamo perso nella forma, non nel merito”.

Pasquali è un fiume in piena. “Avverto un clima che non mi piace. C’è un pressing inaccettabile nei confronti delle società sportive, che devono esprimersi liberamente. Io sono uomo di pace e in questi mesi ho visto e sentito cose inaudite. Dare 550 euro di multa a chi entra in campo con uno striscione con scritto ‘Basta morti nel Mediterraneo’ è vergognoso, soprattutto se subito dopo viene indetto un minuto di silenzio per la strage di Cutro. Nell’ultimo comunicato abbiamo visto una pioggia di ricorsi a seguito della sentenza storica sulle squalifiche. Come mai non sono state date indicazioni in tal senso? Non si sono resi contro dell’importanza della questione o hanno dormito, non trovo altre spiegazioni”.

L’ex delegato provinciale analizza così la situazione politica. “In questi anni la scelta è stata quella di appoggiare la politica centrale di Gravina. Poi è stato eletto Abete, che è una brava persona. Cosa è arrivato ai dilettanti? Nulla. È stato spalmato 1 miliardo sui debiti delle società professionistiche, quello sì. E sul caro bollette? 2 milioni di ristorni dati dallo Stato e 500mila euro aggiuntivi avanzati dalla gestione Baretti”.

Il giudizio sull’operato del consiglio regionale è negativo: “Nei giorni scorsi ho dato un’occhiata al programma elettorale che presentò Tavecchio. Non c’è nulla di realizzato. Certo, la ripartenza dei campionati post-Covid è stata attuata, ma è naturale che accadesse. Peraltro va ricordato che enti di promozione sportiva come il Csi sono tornati in campo molto prima rispetto alle società di Figc. Hanno semplicemente fatto il loro. A fare qualcosa di straordinario, invece, sono state le società sportive, che hanno applicato protocolli a dir poco stringenti. L’efficientamento energetico? 1 milione di euro per 1400 società lombarde è una cifra ridicola e quei soldi arrivano dalle tasche delle società stesse. Non ci si è nemmeno occupati della legge sullo sport. Mi auguro che i presidenti delle società lombarde aprano gli occhi”.

Il programma di Pasquali è confermato. “Il punto più importante riguarda l’attività sportiva, ovvero ripensare il calcio giocato, dedicarsi con attenzione estrema al campo e posizionarsi al fianco delle società. Penso anche alle qualifiche degli allenatori e ai corsi di abilitazione, che sono ancora insufficienti. Deve esserci libero accesso per tutti e occorre premiare il merito, non la carriera da calciatore. Basta corsi in presenza la sera. In moltissime università italiane ormai si studia per moduli pre-registrati. La parte pratica va fatta in presenza, quella teorica no. Durante la pandemia le piattaforme online hanno consentito di diplomare 1200 tecnici. Occorre cavalcare quell’onda, modernizzarsi e semplificare. Se verrò eletto presidente restituirò centralità alle società. Voglio risollevarle dal meccanismo opprimente che chiede adeguamenti continui senza dare nulla in cambio. È tempo di svegliarsi e di agire. Finora abbiamo solamente perso tempo”.

Stefano Facchi, delegato provinciale della Lnd Brescia, sosterrà Pedrazzini. “È curioso. A Lodi tutti votano per Pedrazzini, mentre a Brescia si fa la guerra a una persona che ha fatto il delegato per 14 anni schierandosi sempre dalla parte delle società. Non capisco la presa di posizione di Facchi e vedo molta dietrologia nel suo operato. Gli ho chiesto un colloquio prima delle elezioni e mi è stato negato. Accettare questo tipo di persone significa essere soggiogati. Dispiace assistere a queste scorrettezze, ma non mi stupisce. Non capisco il suo antagonismo nei miei confronti. Io saluto tutti, lui no. Credo che occorra più maturità nei rapporti”.

Pasquali punta anche sull’identità bresciana e si toglie qualche sassolino dalla scarpa. “La scelta del mio successore alla guida della provincia bresciana fu complicata, è giusto ricordarlo. Valentino Garzetti e Stefano Chiari spingevano Gianni Guindani, mentre il consigliere di Bergamo Gianlauro Bellani voleva Stefano Facchi. Alla fine abbiamo fatto comandare i bergamaschi in casa nostra. Come giudico il lavoro svolto fin qui da Facchi e dai suoi collaboratori? Gli errori di inesperienza dei primi mesi ci possono stare. Sicuramente abbiamo idee diverse. Io credo che le delegazioni debbano innanzitutto garantire un servizio. Tutto il resto è un di più”.

Sulla riforma dello sport nessun dubbio. “Lo scenario all’orizzonte è di una gravità estrema. Non riconoscere più la figura del dilettante è qualcosa di drammatico. Il ministro Abodi ha diffuso speranza spostando l’entrata in vigore di 6 mesi, ma temo che difficilmente si potrà rimediare. Il problema è che mentre veniva realizzato questo scempio chi doveva opporsi, anche qui, ha dormito. Bisognava intervenire prima. Quella legge è pensata su misura per uno sport di livello nazionale, che nel calcio ha senso fino alla Serie D. Nelle categorie inferiori calciatori e allenatori lavorano e studiano, i dirigenti e chi presta il suo servizio nelle società sono spesso volontari. Non si può andare in questa direzione, è inaccettabile. Sul vincolo sportivo è fondamentale riconoscere il lavoro delle società in ambito giovanile e fare in modo che non vengano penalizzate. Il rischio è che possano impennare le quote di iscrizione richieste alle famiglie”.

Sui giovani obbligatori nelle prime squadre, secondo Pasquali, è tempo di rivedere le norme. “Sono per il merito, ma occorrono un cambio di mentalità e una crescita culturale, con meno pressioni sugli allenatori e meno dipendenza dal risultato a tutti i costi. Il resto lo deve fare la politica”.

Poi l’appello alle società lombarde: “Se vogliono realmente un cambiamento sono la persona giusta. Mi candido proprio per questo. L’alternativa è illudersi al cospetto delle promesse di chi spaccia invenzioni per verità. Io preferisco risolvere concretamente i problemi. È vero, se vincerò guiderò un consiglio composto da persone che hanno collaborato con Tavecchio, ma anche se ci sono idee diverse so che avremo a cuore obiettivi condivisi per il bene del movimento. Io sogno una Lombardia che non si adegui, che dia risposte quando servono, che influenzi il calcio italiano. Corro per vincere, ma con lealtà, per il bene della nostra regione. Non ho nulla da perdere, mi basta essere stato una voce fuori dal coro in due anni e mezzo di pensiero unico. Questa, per me, è già una vittoria. Vedremo se riuscirò ad aprire le menti e a squarciare il velo dei timori che attanagliano troppi dirigenti”.

Infine un pensiero per Carlo Tavecchio. “La Nazionale fece una figuraccia ai Mondiali in Brasile, poi non si qualificò nelle due edizioni successive. A differenza di Gravina e Abete fu l’unico a dimettersi. Onore a lui. Durante la precedente campagna elettorale ci parlammo spesso. Voleva che desistessi, ma gli feci capire che puntavo a un rinnovamento in uscita dalla pandemia. Purtroppo è andata diversamente, ma non è mai troppo tardi. Possiamo rimediare”.

Bruno Forza

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