C come Cellino. Si presentò come "il migliore di tutti" e ha fallito. Ora deve mantenere una promessa

“Voi non conoscete chi avete di fronte. Non sono un presuntuoso, ma arrivato a 61 anni penso di poter dire che questo mestiere lo so fare meglio di tutti”. 

Era l’agosto del 2017 e Massimo Cellino si presentò con queste parole ai microfoni dei giornalisti bresciani, chiudendo in grande stile una conferenza stampa in modalità “special one” che, ascoltata oggi, mette i brividi.

Quel giorno la nota scaramanzia dell’imprenditore sardo fu zittita da un ego smisurato che la storia, a sei anni di distanza, ha incenerito. Il Brescia Calcio è piombato nel baratro: totale distacco tra società e piazza, tifosi profondamente delusi, ultras inferociti, settore giovanile che non brilla e prima squadra retrocessa in Serie C, dove non metteva piede da 38 anni. Nella piramide del calcio provinciale, peraltro, la Leonessa è stata scalzata al vertice dalla Feralpisalò.

Un incubo sportivo e ambientale dal quale è impossibile svegliarsi, perché corrisponde alla cruda realtà. Uno scenario inimmaginabile perfino per il più pessimista dei nostri concittadini. L’arrivo di Cellino, infatti, fu visto da molti come un’opportunità di rilancio.

Poche settimane prima del suo approdo a Brescia i rivali dell’Atalanta arrivarono quarti in Serie A, staccando il pass per l’Europa League e dando il via ad un ciclo incredibile, fondato su un’idea di calcio elettrizzante, su un vivaio prolifico e su un potenziale economico crescente che ha garantito linfa sia al progetto tecnico sia alla sfera societaria, nel segno della solidità e della continuità.

Incalzato proprio sul modello Atalanta e sull’auspicio di poter intraprendere un percorso simile a medio-lungo termine, Cellino rifiutò categoricamente la semplice idea di potersi lasciare ispirare dal progetto di Percassi: “La verità – disse – è che sono stato io un esempio per lui. Pensate davvero che mi possa insegnare qualcuno che cos’è il calcio? In altri settori magari sì, ma nel calcio non può insegnarmi niente nessuno”.

Indimenticabile il guanto di sfida lanciato in quell’occasione: “Vediamoci tra 24 mesi e guardiamo dove sarà il Brescia e dove saranno gli altri, poi mi direte chi sono io. Se non avverrà ciò che dico sappiate che non sarò più qui. A quel punto sarò onesto, vi dirò che sono cotto, che non so più fare il presidente e me ne andrò: non porterò via nulla, anche perché non c’è nulla da portare via da qui. Non avete nemmeno le sedie, quindi non c’è manco il rischio di rubare. Nel frattempo, vi prego: non ditemi che c’è da prendere come esempio l’Atalanta”.

Sono trascorsi quasi sei anni da quel giorno. Lo scorso fine settimana l’Atalanta ha chiuso il campionato di Serie A al quinto posto davanti a Roma, Juventus e Fiorentina, qualificandosi alla prossima edizione dell’Europa League. Dal discorso di Cellino in poi ha perfino partecipato a due edizioni di Champions League, classificandosi tra le migliori otto nel 2020. Il Brescia, invece, dov’è? Purtroppo lo sappiamo bene, e il film della gestione Cellino ci scorre davanti agli occhi come un thriller da lasciare senza fiato. Innumerevoli esoneri di allenatori e dirigenti, dichiarazioni difficili da tradurre in progetti reali, autogol di comunicazione, campagne acquisti fallimentari e risultati sportivi ben al di sotto delle aspettative. Non solo: iniziative scaramantiche da commedia all’italiana, litigi da vie legali con tesserati e contestazioni dei tifosi. Un teatro dell’assurdo che fa urlare a chi ha il Brescia nel cuore quattro semplici parole: “Ci salvi chi può”.

Ripensando a quell’agosto del 2017 e a quelle dichiarazioni nefaste, tuttavia, è possibile trovare, tra le righe, un pronostico azzeccato e una promessa possibile da mantenere, che potrebbe riscattare, almeno parzialmente, l’enormità di questo fallimento.

Di mesi ne sono passati molti più di 24. Il tempo è definitivamente scaduto. È giunta l’ora del giudizio. Ebbene sì, presidente Cellino, aveva ragione: non conoscevamo chi avevamo di fronte. Ora sì. Attendiamo che la sua onestà si manifesti. Ci dica che è cotto, che non sa più fare il presidente. Quel giorno è arrivato. È ora di andare. Non c’è nulla da portare via.

Bruno Forza

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