Soldi e tribunali, scommesse legali e illegali, dark web e criminalità, rischio squalifiche e carriere spezzate. Nell’uragano scatenato dallo scandalo che sta travolgendo il calcio italiano la lente d’ingrandimento rischia di essere puntata esclusivamente in questa direzione, ma significherebbe mettere la testa sotto la sabbia.
Tra notizie, gossip e chiacchiere da bar i riflettori illuminano i volti di Fagioli, Zaniolo e Tonali, non più campioni da ammirare, ma bersagli sui quali vomitare l’indignazione di un popolo che non può accettare svarioni da milionari baciati da Dio, presunti protagonisti di esistenze perfette e invidiabili.
In situazioni di questo tipo sarebbe di vitale importanza cercare prospettive più ampie, spostare il focus, immergersi più in profondità. Lo hanno fatto Demetrio Albertini e Aldo Serena, intervistati rispettivamente da Libero e Repubblica. “Abbiamo a che fare con una generazione di ragazzi impreparati, sommersi da input ma privi degli strumenti per gestirli, che finiscono per cadere stupidamente in tentazione” ha dichiarato l’ex centrocampista del Milan e della Nazionale. “Tra social e internet le probabilità di sbagliare aumentano, soprattutto in mancanza di una vera e necessaria educazione”.
Parole in linea con le dichiarazioni dell’ex bomber e commentatore tv: “Non credo sia solo ludopatia. Ho paura che la vicenda ci racconti qualcosa di più ampio sulla nostra società, qualcosa che ci riguarda come adulti e come genitori di persone sempre più fragili. Oggi i giovani si trovano immersi in una realtà parallela, con intere generazioni risucchiate da smartphone e tablet, ragazzi intrappolati lì dentro. Anche la questione scommesse infatti si gioca online, con l’accesso a siti illeciti e un grande rischio che tutti corrono, ovvero che la vita sembri un videogioco, che smetta di essere una cosa viva”.
Ecco il nocciolo della questione. Questa vicenda non riguarda solamente tre dei migliori talenti del nostro calcio, non è una deriva confinata al palcoscenico della Serie A. È una storia più ampia e condivisa, che non possiamo limitare alla sfera calcistica, accecati dalla notorietà e dal conto in banca dei personaggi coinvolti, che se hanno sbagliato pagheranno, ma andiamo oltre. In Italia secondo l’ultima indagine dell’Iss (Istituto Superiore di Sanità) 18 milioni di persone praticano il gioco d’azzardo e un milione e mezzo ne sono dipendenti. Una pratica diffusa anche tra i minorenni (700mila, di cui 70mila sono già considerati “giocatori problematici”).
Siamo primi in Europa nel rapporto tra gioco e ricchezza, con 1.400 euro di spesa procapite annua. Uno scenario che nasconde, al suo interno, storie di vite distrutte, con conseguenze ben più gravi di squalifiche da parte della giustizia sportiva. Il virus della ludopatia travolge persone di ogni ceto sociale e colpisce duro tra le classi meno abbienti, che cercano nella dea bendata un’alleata decisiva per svoltare. L’indagine sui calciatori azzurri e l’eco mediatica che ne è scaturita deve costituire l’occasione per affermare a gran voce che le probabilità di fare 6 al Superenalotto sono dello 0.0000002%; che i biglietti vincenti dei Gratta e Vinci da 500mila euro sono uno ogni 6 milioni e quelli da 100mila euro sono uno ogni 106mila. Statisticamente è molto più probabile essere colpiti da un fulmine nell’arco della nostra vita, eppure la percezione del giocatore medio è profondamente diversa.
Albertini e Serena parlano, giustamente, anche di videogiochi e social. Secondo i dati raccolti dall’Irccs Stella Maris e diffusi lo scorso maggio dall’Ansa, 700 mila adolescenti in Italia ne sono dipendenti. Di questi circa 100mila fanno uso compulsivo di TikTok e Instagram, altrettanti si chiudono per mesi in camera passando ore sul web, mentre altri 500mila sono a rischio di dipendenza da videogiochi.
Numeri che devono allarmare genitori, nonni, insegnanti, allenatori, educatori, politici, e che impongono una pronta reazione. Urge ricorrere alla cultura come strumento ideale, necessario in chiave preventiva, da unire a buone abitudini e ad un’attenzione da ritrovare nei confronti di bambini, ragazzi e giovani, che non devono essere abbandonati al loro destino. Il rischio è che queste storie continuino a proliferare e a infittire quella coltre di nebbia nella quale, se guardiamo il fenomeno nel suo complesso, finiscono per perdersi perfino i nomi altisonanti dei calciatori di turno.
Tornando al mondo dorato del grande calcio l’occasione potrebbe essere propizia anche per interrogarsi sui limiti di persone, spesso giovani, che da un anno con l’altro possono trovarsi seduti su somme di denaro immense, tali da fare impallidire i fatturati di grosse aziende. Chiediamoci quale sia il vissuto, l’esperienza, la preparazione in più campi di un ventenne chiamato ad amministrare milioni di euro e vivere senza farsi travolgere da tutto ciò che ne consegue. I dati sulla stabilità economica dei calciatori a fine carriera, a tal proposito, sono inquietanti. Ci dicono che il 40% dei professionisti europei è a rischio povertà. Stelle assolute del firmamento di questo sport finiscono sul lastrico dopo aver appeso gli scarpini al chiodo.
Ultimo capitolo, ma non per importanza, quello legato all’istruzione. Solamente il 4,8% dei calciatori professionisti è laureato. In Serie A sono il 2% del totale. Troppo pochi per una categoria che tra i 35 e i 38 anni è costretta a cambiare lavoro senza esperienze pregresse se non quelle maturate sui campi.
In questi giorni qualche goffa argomentazione sulle cause dello scandalo asseriva al fatto che molti di questi ragazzi non sappiano gestire la noia, contesto ideale in cui social, videogiochi e perfino il tarlo delle scommesse possono annidarsi. I calciatori hanno molto tempo libero e non sanno come sfruttarlo? Allora perché non affiancare agli obiettivi sportivi quelli di crescita personale? Perché non riempire le giornate vuote con esperienze di studio? Perché non investire in attività professionali parallele viste le grandi risorse a disposizione? Perché non adoperarsi fin da subito per seminare in vista del post-carriera?
I “nostri eroi” affermano spesso di lavorare sul campo per migliorare giorno dopo giorno a livello fisico e tecnico. Qualcuno sproni questi ragazzi ad allenare anche cervello e anima, elevando cultura e competenze. Ecco come sconfiggere la noia, migliorare come persone, investire su se stessi, diventare ancora più ricchi. In tutti i sensi. Non di solo calcio vive l’uomo.
Bruno Forza