Persone che camminano per strada con lo sguardo basso, fisso sullo schermo dello smartphone. Ragazzi seduti sulla panchina di un parco, silenziosi e assorti nei loro dispositivi. Bambini incollati al telefonino messo nel passeggino da genitori e nonni. Famiglie al ristorante che non parlano e non si guardano negli occhi.
“Fatichiamo a renderci conto di tutto ciò che perdiamo” afferma con amarezza Mario Capuano, medico del Sert di Brescia. “Occorre assaporare la vita, osservarla, mettersi in discussione, accrescere la propria autostima. Oggi si ostenta sicurezza, ma c’è tanta fragilità. Fanno paura la solitudine, i sentimenti, il confronto. Le discussioni non sono più reali e costruttive, ma virtuali e distruttive”.
Internet, smartphone, videogiochi, social network, gioco d’azzardo. C’è un vasto mondo virtuale che sta travolgendo quello reale, generando vere e proprie dipendenze comportamentali che finiscono per compromettere le dinamiche della vita quotidiana. Il dottor Capuano ci aiuta a capirne di più in occasione della quinta puntata della rubrica “Vietato Perdere”, dedicata alla lotta a tutte le dipendenze.
“Il mondo è cambiato ed internet è sempre più pervasivo nella nostra quotidianità. I dati parlano chiaro: nel mondo 5,44 miliardi di persone sono connesse ogni giorno al web. In Italia l’87,7% della popolazione. 43 milioni di persone sono attive sui social, dove trascorrono 6 ore al giorno alle quali ne vanno aggiunte 2 su altri media. Un orario di lavoro full time. Siamo 58 milioni, ma ci sono 81milioni di connessioni attive”.
Un mondo iperconnesso. “Non è più possibile distinguere tra online e offline. Il filosofo Luciano Floridi, recentemente, ha descritto la società come onlife, perennemente connessa. Me ne accorgo quando viaggio in aereo. Nel momento in cui viene chiesto ai passeggeri di spegnere lo smartphone si percepiscono fastidio e disagio. Non appena si atterra tutti riattivano subito i loro dispositivi e vanno a caccia di notifiche, immergendosi nuovamente in quel mondo che ha modificato notevolmente il nostro”.
Tendenze che condizionano ogni fascia d’età, fin dai più giovani. “Tra i 15 e i 19 anni, nelle scuole superiori, sono a rischio di dipendenza il 14% dei giovani, che finiscono per trascurare sonno e amici, arrivando a fare i conti con notevoli sbalzi d’umore in caso di privazioni da parte dei genitori. Ci sono situazioni correlate piuttosto gravi, come il fenomeno delle challenge, sfide spesso pericolose per essere accettati nel gruppo. Il cyberbullismo, poi, tocca il 45% di ragazzi e ragazze almeno in un’occasione, facendo grandi danni. C’è pure il ghosting, dove un singolo soggetto diventa irreperibile per scelta, isolandosi, o viene escluso da un gruppo. Se parliamo di videogames, infine, la percentuale studentesca a rischio sale al 16%, con giovani che passano intere giornate davanti ai dispositivi. La pandemia ha incrementato notevolmente questa malsana abitudine”.
Davanti ai dispositivi il tempo scorre inesorabile, prosciugando gli altri stimoli e ridimensionando gli altri ambiti della vita: dallo studio al lavoro, dagli hobby alle relazioni. “Convenzionalmente si parla di utilizzo problematico di internet una volta superate le 6 ore al giorno. I segnali arrivano se, privato dello stimolo, il soggetto diventa nervoso, depresso, ma anche se occorre sempre più tempo per acquisire lo stesso beneficio in termini di gratificazione. Chi è consapevole del fatto che questi comportamenti sono dannosi, tuttavia, non riesce ad evitarli. Utilizzare i dispositivi affidandosi ad un timer, dandosi un tempo di fruizione, sarebbe un’ottima idea”.
Il capitolo del gioco d’azzardo si annoda spesso al mondo di internet. “Il 59% degli studenti afferma di aver giocato online, ma anche di acquistare gratta e vinci e fare scommesse calcistiche o giocare a poker, roulette, dadi, slot online. Sono davvero molte le persone che si rivolgono a noi per problematiche di questo tipo”.
Il Sert, come abbiamo raccontato nelle puntate precedenti, rappresenta un avamposto di fondamentale importanza per il sostegno sul territorio a persone che stanno combattendo contro ogni tipo di dipendenza. “Nell’immaginario collettivo si pensa che vengano qui solamente persone emarginate, vittime dell’eroina. Non è affatto così. Chiunque può avere bisogno di noi. Il nostro approccio con le dipendenze legate a internet? Parliamo lo stesso linguaggio di chi si rivolge a noi, garantiamo ascolto e sensibilità, siamo culturalmente preparati. Ai famigliari e agli amici che vogliono aiutare chi è in difficoltà consiglio di non assumere un atteggiamento giudicante, ma di porsi con chiara e sincera curiosità, altrimenti troveranno chiusura. Non bisogna demonizzare i dispositivi, anche perché per alcuni giovani sono il modo per esprimere la propria identità in una fase della vita delicata come l’adolescenza, che è di passaggio e di grandi cambiamenti, di confronto con un mondo diverso da quello della famiglia, che prevede anche la nascita di riferimenti nuovi. Subentrano modelli diversi, tempeste ormonali, cambiamenti del corpo, crisi d’identità. In questi momenti è facile che si sviluppi una dipendenza, anche per l’esigenza di appartenere ad un gruppo, anche a costo di mettere da parte la propria identità. Occorre attenzione da parte di genitori ed educatori”.
No alle proibizioni dunque, sì all’inserire l’utilizzo di internet, videogame e social in mezzo a tante altre attività. “Il problema è che molto spesso i genitori vengono qui preoccupati dalla mancanza di interessi dei figli, ormai travolti da interi pomeriggi sprecati. Occorrono dialogo, ascolto e capacità di cogliere i cambiamenti. Presi dai mille impegni della quotidianità non si colgono passaggi subdoli, non si affrontano temi nel modo giusto, dimostrando scarsa attenzione anche ai modi. Il fatto è che per i nativi digitali non esiste un pre e un post internet, non sanno com’era il mondo di una volta. Ricordargli le nostre esperienze non servirà”.
Ora il web è ovunque, e la realtà virtuale è sempre più coinvolgente. “I videogiochi sono arrivati ad un livello di realismo incredibile. Sono sempre più appassionanti, agiscono sul circuito della ricompensa, generando dopamina. Creano squilibri nella corteggia pre-frontale, stimolano l’istintualità, non aiutano a gestire le emozioni razionalmente”.
Lo sport è tutta un’altra storia. “L’attività fisica e la pratica agonistica creano equilibrio neurobiologico tramite la gratificazione dello sforzo fisico e il rilascio di endorfine, cortisolo, serotonina. C’è un maggior controllo degli impulsi e la gratificazione è più duratura. Migliora la coscienza di sé e l’autostima. Nell’equilibrio di una squadra si è tutti importanti, si contengono ansie e paure, si alfabetizzano emozioni, senso di rabbia e frustrazione, si veicolano modelli etici e comportamentali”.
Il focus, peraltro, non riguarda solamente adolescenti e giovani. Perfino i bambini vanno incontro a grossi rischi. “I più piccoli, se esposti costantemente all’utilizzo dello smartphone, possono incappare in serie problematiche relative a capacità di concentrazione e apprendimento. È provato che i bambini che utilizzano il cellulare in autonomia rischiano un deficit e un calo di rendimento nelle altre attività quotidiane”.
Lo smartphone, insomma, arriva tra le mani delle nuove generazioni troppo presto. “I genitori lo considerano un collegamento con famiglia per gli adolescenti, ma devono mettere in conto che quello strumento serve per sperimentare molte altre cose, che non sempre sono costruttive. Con i bambini, invece, l’impressione è che sia una via d’uscita per facilitare certe mansioni educative. Capita spesso di vedere bambini completamente assorti nello smartphone mentre i genitori fanno altro. Oppure mentre i genitori stessi stanno davanti ai rispettivi telefoni. È troppo semplice demandare ad un dispositivo cura e impegno genitoriale. I bambini vanno motivati ed incuriositi. Costruzioni e giochi di società sono spariti dai tavoli, sostituiti dalla luce ipnotica dei dispositivi. Se li parcheggiamo lì poi diventa difficile spiegare loro che fa male. Gliel’hai dato tu e lo usi sempre, che credibilità hai nel negarglielo?”.
I pediatri stanno attuando campagne di sensibilizzazione sempre più insistenti sul problema. “Ritengono, giustamente, che i bambini andrebbero tenuti alla larga dagli smartphone fino ai 7-8 anni. Poi possono iniziare, ma con un adulto vicino”.
Adulti che non sono esenti dall’ipnosi da smartphone. “Nel loro caso il gioco d’azzardo va per la maggiore, ma a cadere nel vortice della noia perdendo il senso del tempo sui social sono in moltissimi. Bisognerebbe cercare gratificazioni meno potenti ma più durature, oltre a diventare capaci a comunicare nel senso più stretto del termine, abilità che stiamo progressivamente perdendo nella coppia, in famiglia, tra amici, nel lavoro, nella società”.
Già, la comunicazione umana sta cambiando. “È sempre più condizionata da filtri. Le modalità verbali e non verbali stanno sfumando sempre più. Parole, gesti, sguardi e posture vengono persi nel mondo virtuale, dove non traspare una parte di noi. Sono rapporti asettici, privati dalla componente emozionale e relazionale. Quando si è in presenza prevale il silenzio, ma l’assurdità è che se si resta senza campo si va nel pallone. È una comunicazione fuori dai contesti, spesso unidirezionale e senza scambio, nemmeno contraddittorio. Più semplice e superficiale. A tavola ci si estranea per comunicare con chi non è lì al tuo fianco, è una comunicazione fuori dal contesto, priva di empatia e condivisione, ma che garantisce maggiore sicurezza perché possono essere filtrate o tenute a bada le emozioni. Tutto è sotto controllo, non servono grandi abilità sociali e i propri difetti restano nascosti. Eppure sono proprio quelli a renderci unici, a rendere la relazione sincera e forte. Mascherare i punti deboli ci rende sempre meno umani, in un luogo che magari è sicuro, ma in cui ci si isola e nel quale non c’è l’altro”.
Lo scenario è critico, ma secondo Capuano non è troppo tardi. “Bisogna implementare le campagne di sensibilizzazione, soprattutto in ambito scolastico. Occorre educare ad un utilizzo consapevole e critico delle nuove tecnologie. La dipendenza va anticipata, bisogna costruire dei ponti tra chi se ne occupa e gli ambienti educativi. Dietro alle difficoltà di molte persone possono esserci problemi ancor più profondi. Spesso occorre un’equipe multidisciplinare per affrontarli”.
Bruno Forza