Rass.stampa - Tutti i rituali di Massimo Cellino, il presidente in lotta con la jella

Dalla Gazzetta dello Sport

Il Brescia fatica, arranca, continua a cadere e Massimo Cellino per risollevarlo le sta provando tutte. La rimonta subita contro il Mantova l’ha fatto riprecipitare in zona playout, posizione scomoda non solo per l’imperativo-salvezza, ma anche per trasformare in realtà il suo proposito di passare la mano (vendere il club senza svenderlo).

E quello che è successo, un ribaltone ai confini della realtà (gol-vittoria di Juric cancellato dal Var per una questione di millimetri, un fuorigioco che rimane assai dubbio a distanza di giorni, e gol-sconfitta firmato da Radaelli al 5’ di recupero), rafforza le sue convinzioni di sempre: da battere non c’è soltanto la squadra avversaria sul campo, ma anche quella nemica odiatissima chiamata in tanti modi, sfortuna, scalogna, sfiga. Lo spauracchio da temere più delle rivali dirette nella corsa per restare in B, da battere in qualsiasi modo con metodi che inevitabilmente non possono limitarsi a un cambio di modulo o a una giocata vincente. “Qualcuno ci ha fatto una macumba e riti voodoo”, ha tuonato dopo il derby con il Mantova.

Film già visto: nel 2015, un anno dopo aver lasciato la presidenza del Cagliari (tenuta per qualcosa come 22 stagioni), commentò la retrocessione patita dal suo erede Giulini dicendo che “i giocatori erano adeguati: siete retrocessi per malasorte, per cugurre”. Termine sardo per riferirsi agli insetti forbicina (Forficula Auricularia), considerati portasfortuna, iettatori. La iella è in cima ai pensieri di Cellino, che al momento del rigore contro ha lanciato una lacrima verso Mancuso, che in effetti ha sbagliato spedendo il pallone sulla traversa. Per garantirsi l’unico paradiso calcistico alla portata adesso (la salvezza in B) aveva invitato il vescovo Tremolada, stesso cognome del fantasista che fu tra i protagonisti dell’unica promozione celliniana a Brescia (2019). Invitato con un migliaio di ragazzi degli oratori della diocesi, il vescovo (rigorosamente non vestito di viola) ha fatto un giro di campo prima di sedersi in tribuna come nemmeno i campioni olimpici. Non è bastato, ma Cellino ci riproverà.

Contestato dalla tifoseria, precipitato in zona playout, il presidente biancazzurro non è tipo da scoraggiarsi, in particolare quando si tratta di affrontare l’odiatissima avversaria invisibile. Quando gli proposero di organizzare la conferenza stampa di presentazione a Brescia di giovedì 17 agosto, sbottò. A Cagliari nessun giocatore poteva indossare il 17, e al Sant’Elia il seggiolino maledetto era stato sostituito con il 16 B. Naturalmente non esiste il posto 17 in alcun settore del Rigamonti. Quando arrivò in Inghilterra da presidente Leeds, come prima cosa chiese all’allenatore di non portare in ritiro il portiere irlandese Paddy Kenny, colpevole di essere nato il 17 maggio. Vietato ingaggiare calciatori che festeggiassero il compleanno in quella data. Michael Brown, che vestiva il numero 17 nella stagione precedente, fu tra i primi ad essere ceduto.

E Cellino non disdegna affatto i riti scaramantici. Prima di una partita col Livorno, disputata a dicembre, chiese di utilizzare il pallone bianco rosso estivo al posto di quello invernale giallo viola (portava sfortuna). In tasca teneva l’immagine di Fra’ Nazareno, baciata dopo ogni gol. Abitudine datata, quella di fingere di sfilarsi una lacrima per lanciarla verso il rigorista di turno, così come quella di spargere il sale ai bordi del campo o di fare invertire le panchine se le vittorie non arrivano. Una volta, nel 2011, chiese ai tifosi del Cagliari di andare allo stadio vestiti di viola giocava contro il Novara un venerdì 17: numero da esorcizzare. Quando c’era Allegri in panchina, considerò fondamentale per una clamorosa rimonta cambio di appartamento dell’allenatore: “Gli ho fatto cambiare il colore della tuta, ma forse anche la sua prima abitazione non portava bene”.

La situazione, oggi, parla di un Brescia reduce dalla sconfitta nel 17° derby con il Mantova disputato a Mompiano, per un gol decisivo segnato dal 17 Radaelli, che lascia i biancazzurri guidati da Maran fermi a 17 punti nelle gare casalinghe; 17 come quelli conquistati in trasferta. Numeri come fantasmi da scacciare nella trasferta di Cosenza, contro la squadra che due anni fa lo spinse in C in un un drammatico spareggio-playout al Rigamonti, retrocessione sul campo cancellata durante l’estate dalla riammissione in B al posto della Reggina. Stavolta Cellino spera di cavarsela prima, patendo di meno. Magari invocando un’altra benedizione contro macumbe e affini.

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