22:38, Stadio Giuseppe Voltini di Crema. Il Sig. Beretta di Bergamo fischia il termine della finale del Trofeo Dossena: il Brescia (in questo caso, la Primavera), per come lo conosciamo, ha giocato la sua ultima partita ufficiale dopo 114 anni di gloriosa storia calcistica e sportiva. Gli animi sugli spalti, gremiti di tifosi, parenti e amici delle baby rondinelle, non possono che essere cupi: pochi sorrisi, poche parole, tanta amarezza e sconforto. Poco importa del risultato finale (3-2 per il Genoa), francamente nella testa di chiunque sia presente e sia legato all’ambiente biancoblù balenano altri pensieri, fra tristezza per la situazione attuale e timori per il futuro che verrà. Nonostante tutto, il gruppo capitanato da Giacomo Maucci si presenta a testa altissima, indossando con grande orgoglio la splendida casacca del magico Brescia, onorandola fino all’ultimo istante di partita, ed arrivando ad un passo da un trionfo che avrebbe avuto del clamoroso; in tal senso è iconico il grido di Galli al fischio d’inizio: “Andiamo Brescia”, quasi a rimarcare un’identità che non potrà mai scomparire realmente.
Arrivando a parlare di cose strettamente inerenti alla cronaca del match, entrambe le formazioni si schierano sul rettangolo di gioco con il 4-3-1-2, ma se i ragazzi guidati da Belingheri rimangono fermi, a livello tattico, nella loro posizione di campo, l’undici genoano risulta più fluido, con posizioni e giocatori interscambiabili proprio per non dare punti di riferimento alla retroguardia bresciana. A partire meglio sono le baby rondinelle, che si trovano a meraviglia l’un con l’altro e passano in vantaggio al 6′ grazie a capitan Maucci, che approfitta di un’incomprensione tra Camilletti e Consiglio e deposita in rete il gol dello 0-1. Risponde subito il Genoa con una bella azione sulla fascia di sinistra, cross di Pallavicini per lo stacco imperioso di Carbone con la palla che esce a fil di palo. Poco dopo, all’ottavo minuto, sono ancora i rossoblù ad andare vicini al gol: un Carbone straripante scippa la sfera a Facchini (unico vero errore della sua partita) al limite dell’area e si ritrova da solo davanti a Galli, che si stende a terra in una frazione di secondo e salva il Brescia con un vero e proprio colpo di reni.
Maucci e suoi però sembrano essere in palla e nell’arco di dieci minuti hanno una doppia occasioni per il raddoppio, dapprima al 12′ con Orio, che spara alto dopo una bella combinazione veloce fra Brais e Galvano, poi al 23′ ancora proprio con il numero 9 biancoblù, che, servito da Maucci al termine di una bella transizione offensiva, sfiora il palo alla sinistra di Consiglio. Nel momento migliore per i ragazzi di Belingheri, però, il Genoa trova il gol del pareggio con una botta terrificante dai 25 metri di Grossi, che fa 1-1 quando il cronometro segna ventotto di gioco. I restanti minuti trascorrono senza particolari acuti e Beretta, senza dare alcun recupero, scoccato il 40′ manda tutti negli spogliatoi.
Il secondo tempo, nonostante il parziale reciti 2-1, non suscita particolari emozioni ed è scevro, ad esclusione dei gol e poco altro, di azioni realmente degne di nota, tanto che potremmo definire questa seconda frazione di gioco quasi come una partita a scacchi fra gli allenatori delle due formazioni finaliste. Perdipiù il ritmo dei giovani calciatori cala vistosamente e, in realtà, ciò non stupisce, dato che tutte le partite del torneo sono state giocate nell’arco di una sola settimana, impedendo ai giocatori di recuperare appieno le energie fisiche e mentali.
Pronti via e stavolta la frittata la combina la retroguardia biancoblù, Dorgu ringrazia ed al 3′ insacca facilmente a porta sguarnita la rete del vantaggio genoano. Un Brescia stanchissimo prova a recuperare la partita, senza rendersi però mai realmente pericoloso, vuoi per via degli errori negli ultimi metri, vuoi per l’ottimo posizionamento in campo dell’undici rossoblù, vuoi per le conclusioni quasi sempre murate dagli avversari. Ma è comunque un Brescia che non molla, che lotta con le unghie e con i denti. Al 25’ le baby rondinelle con i cambi effettuati passano a quello che sembra un 4-2-4 in fase di possesso, per cercare di portare superiorità numerica in zona d’attacco e trovare il gol del pareggio: nonostante il Brescia non si renda mai pericoloso, la mossa in sé funziona, perché il Genoa fatica a mantenere il controllo della sfera di gioco.
Ma, proprio come nella prima frazione, nel momento migliore dell’undici di Belingheri, il grifone al 35′ sigla la rete del 3-1 col neoentrato Fazio, che spinge in porta una bella palla arrivata a centro area dalla fascia sinistra. Un gol che avrebbe tagliato le gambe (oltre che le speranze di rimonta) a chiunque, ma non al Brescia, che si riporta subito a -1 con una bella girata sottomisura di Gauli su assist di Bezati e poi si lancia in un forcing finale quasi commovente, aggrappandosi all’orgoglio ed all’onore che si provano ad indossare la casacca con la V sul petto.
Dopo essere andato vicino al pareggio ancora con Gauli su colpo di testa da corner, l’occasione colossale per il 3-3 capita sui piedi di Bezati, che da buona posizione tira addosso a Consiglio, bene in copertura del primo palo, dopo una splendida azione in ripartenza dei suoi. L’ultimo squillo del Brescia porta la firma di Tonziello, che si libera bene ma spara alto: col pallone che termina fuori sopra la testa dell’estremo difensore genoano, Beretta fischia la fine del match e fa partire la festa della compagine allenata da Jacopo Sbravati, che dunque vince la quarantasettesima edizione del prestigioso Trofeo Dossena.
Ciò che fa più rumore, però, non sono le grida dei giovani calciatori rossoblù, non sono le voci di chi sta chiamando giocatori e squadra per le premiazioni finali, ma è l’assordante silenzio della panchina del Brescia, interrotto solo da qualche coro e dagli appalusi dei tifosi, familiari ed amici al seguito della squadra. Non ci sono sorrisi (e come potrebbero, chiaramente), si parla poco, gli sguardi sono cupi; le baby rondinelle che ricevono premi individuali sorridono solo per le foto di rito (e per qualche battuta “da ragazzi” che arriva dagli spalti), poi ritornano con lo sguardo attonito, consapevoli di aver indossato la casacca della Leonessa per l’ultima volta.
Termina così oggi (anche se, ufficialmente, il club biancoblù fino al 26 giugno è in mano a Cellino ed ora come ora ha “soltanto” perso la matricola sportiva, senza però essere ancora fallito) la storia ultracentenaria del Brescia, 114 (CENTOQUATTORDICI) anni di calcio, di successi e di sconfitte, di gioie e di tragedie, sportive e non (Vittorio Mero, Andrea Toninelli…) e tanta, ma davvero tanta passione, amore, dedizione verso questi colori. Ieri è stata l’ultima volta che il Brescia (ricordiamo, in questo caso Primavera) per come lo conosciamo, la società fondata il lontano 17 luglio 1911, ha calcato un terreno di gioco.
Ma permettetemi una riflessione personale, da tifoso più che da giornalista, della quale mi assumo piena responsabilità. Il Brescia non è una sola persona, non è il Leader Maximo, arrivato otto anni fa in pompa magna e rivelatosi poi affabulatore (e, nonostante ciò, fino all’ultimo criticato solamente da pochissimi giornalisti nostrani, tra cui l’unico ed inimitabile Cristiano Tognoli, cui vanno tutta la mia gratitudine e solidarietà), padrone e non padre di una creatura che sta a cuore ad un’intera comunità, ma non a lui. Il Brescia non è neanche, soltanto, una società o un marchio. Il Brescia è un popolo intero, è l’insieme di tifosi che non perdono una partita e seguono la squadra in tutta Italia, è identità e passione.
E allora ha ragione capitan Bisoli a dire a gran voce, attraverso il profilo Instagram della moglie, che “Brescia non è lui – da notare come non utilizzi nemmeno il nome dell’autore di questa immane tragedia sportiva – il Brescia siamo noi”, ha ragione Zambelli a dire che torneremo più forti di prima, ha ragione l’Airone Caracciolo ad essere sicuro, conoscendo la Città ed i bresciani, che non molleremo nel nostro momento più buio. Perché la realtà dei fatti è proprio questa. Fino a che ci saremo noi, il Brescia non morirà mai: nello spirito, negli ideali, nel tifo, nella passione che da sempre ci contraddistinguono. Questa non è la fine, ma un nuovo inizio, un’occasione per ripartire dopo otto anni di incertezze e maltrattamenti al limite dell’umanamente sopportabile. Perché il Brescia siamo noi, solo noi. Forza Brescia sempre, per sempre.
Alessandro Soncini
GENOA – BRESCIA 3-2
6’ pt Maucci, 28’ Grossi; 3’ st Dorgu, 35’ Fazio, 36’ Gauli
Genoa (4-3-1-2): Consiglio 6; Doucoure 6,5 (11’ st Fazio 7), Arata 6 (C), Camilletti 6, Pallavicini 6,5; Grossi 7 (23’ st Piacenza 6), Taieb 6, Dodde 6; Carbone 7 (23’ st Pagliari 6); Spicuglia 6 (11’ st Gibertini 6), Dorgu 7.5 (37’ st Scaglione s.v.) A disposizione: Frasca, Toscano, Marconi, Miragliotta. All. Jacopo Sbravati 7
Brescia (4-3-1-2): Galli 6,5; Brais 6,5 (25’ st Bezati 6), Facchini 6,5, Gauli 7, Dijeva 6 (15’ st Barcella 6); Beldenti 6, Buratto 6,5, Leandri 6 (25’ st Emanuele Molinari 6); Maucci (C) 8; Galvano 6,5 (25’ st Tonziello 6), Orio 6,5 (10’ st Andrea Molinari 6). A disposizione: Anelli, Bicelli, Gaffurini, Saccone. Allenatore: Belingheri 7.
Arbitro: Lorenzo Beretta di Bergamo.
Note: campo in erba naturale. Spettatori: 350 circa. Recupero: 0’ e 4’.
MVP: Dorgu (Trofeo Dossena); Maucci (CalcioBresciano.it).