Migliavacca: "Obiettivi mirati e proposte di qualità. L'abbandono sportivo è il più grande fallimento"

Doppio appuntamento di rilievo per i responsabili dei settori giovanili bresciani, che al corso organizzato dal comitato provinciale della Lnd hanno potuto confrontarsi esponenti del settore giovanile dell’Inter.

 

Sulla piattaforma Zoom sono infatti intervenuti il coordinatore dall’Under 12 all’Under 14 Paolo Migliavacca e il tecnico dell’Under 9 Gianluca Urgnani.

 

Nell’arco di due lezioni i tecnici neroazzurri hanno illustrato il sistema organizzativo di attività di base e settore giovanile, senza rinunciare a focus su principi, metodologia e concetti educativi.

 

Nel vivaio interista le sedute di allenamento crescono con il passare degli anni. Due per gli Under 9, 3 a partire dall’Under 10 e 4 a partire dall’Under 12. Nella fascia dall’Under 9 all’Under 14 operano, oltre agli allenatori di riferimento, 4 preparatori dei portieri, preparatori coordinativi e collaboratori dedicati ad argomenti specifici come calcio a 5, fase difensiva ed esercitazioni per età biologica, dove si organizzano allenamenti in base alle attitudini del giocatore e in linea con il suo percorso di crescita.

 

In ciascuna annata ci sono massimo due squadre e nessuna distinzione tra A e B: “Riteniamo fondamentale garantire le stesse proposte e opportunità a tutti. Noi selezioniamo i ragazzi e puntiamo a formare potenziali professionisti, non possiamo fare distinzioni al nostro interno. Come è meglio organizzare i gruppi? Dipende dal tipo di gestione interna che vuole avere la società. Noi lavoriamo sul ‘prodotto calciatore’, ma trattandolo con l’attenzione che merita un essere umano e soprattutto un giovane, come è doveroso che sia, imbastendo relazioni con le famiglie. Se si vuole crescere con qualità occorre omogeneità, ma è difficile ottenerla perchè l’evoluzione dei singoli è continua e differente. Se si ha la forza, anche tra i dilettanti, di gestire per livelli è l’ideale, diversamente meglio puntare sul sociale”.

 

Le dimensioni del campo e i dettagli delle partite, ovviamente, variano in base alle età: “Solo l’Under 14 gioca a 11, gli altri a 7 e a 5. Il concetto di gioco è fondamentale. Oggi, infatti, i bambini giocano sempre meno ed è un tasto sul quale bisogna insistere. È anche importante che l’attività avvenga sempre nello stesso luogo, al fine di accrescere il senso di appartenenza, incentivare gli incroci tra ragazzi e allenatori, attivare esperienze e confronti costanti. Cerchiamo di organizzare molte amichevoli e di far partecipare i ragazzi a tanti tornei a 5, a 7 e a 9. Abituarsi a diverse tipologie di gioco fa crescere: il giocatore diventa più eterogeneo possibile acquisendo nuove competenze”.

 

La pagina del futsal ha assunto una valenza elevata nel progetto interista: “In questa variante calcistica c’è un rapporto unico tra piede e palla, si allenano molto le transizioni, le trasmissioni, la fase difensiva e quella offensiva. I giocatori sono sempre nel vivo del gioco, sul pezzo. Può risultare molto formativo e trasferibile”.

 

Dietro le quinte dei vivaio c’è un gioco di squadra organizzato, in cui i tecnici si muovono in libertà: “Condividiamo il programma tecnico, poi è l’allenatore che sviluppa esercitazioni e allenamenti. Il coordinatore osserva e indirizza attraverso le linee guida, ma lascia libertà d’azione ai mister. È al loro fianco nel rispetto dei ruoli, perché un responsabile deve innanzitutto osservare e conoscere per poi intervenire”.

 

Il sistema giovanile interista poggia su 24 squadre: dai più piccoli alla Primavera, con 700 giocatori tesserati. I centri di formazione sono 14, con 3mila giocatori che ne fanno parte. Ci sono poi le società affiliate (25 con 7.500 giocatori) e le scuole calcio Inter (7 con 600 giocatori). Tra chi approda in neroazzurro il 27% proviene dai centri di formazione, il 10% dalle affiliate, il 3% dalle scuole calcio. Il 60% da fuori “a dimostrazione del fatto che – sottolinea Migliavacca – si tratta di progetti tecnici a tutti gli effetti, che non sono mirati ad accaparrarsi i giocatori”.

 

Lo scouting, ovviamente, è fondamentale: “Lo adottiamo per la ricerca dei giocatori, ma anche per trovare allenatori. Ovviamente i tecnici formati nei nostri Cdf possono avere maggiori chance. Li consideriamo scuole per far crescere i territori ottenerne benefici reciproci”.

 

I relatori hanno poi ricordato ai partecipanti l’importanza di porsi obiettivi mirati. “Da noi nella pre-agonistica si punta sugli aspetti motivazionali, tecnici, tattici individuali e collettivi, difensivi specifici, offensivi specifici, sul calcio a 5 e sull’attenzione all’età biologica. Quanto alla metodologia grande attenzione allo sviluppo delle abilità tecniche e tattiche, concepite soprattutto nell’ottica del riconoscimento degli spazi e della capacità muoversi al loro interno. Tra i capisaldi anche velocità di pensiero, rapidità decisionale e fiducia. Nella pre-agonistica si lavora dal semplice al complesso, dal conosciuto allo sconosciuto, aumentando i carichi di intensità e coinvolgendo tutti i giocatori in una proposta sempre varia e coinvolgente”.

 

Gli allenatori da Inter devono avere esperienze e competenze, ma conta moltissimo saper generare empatia e incamminarsi in un percorso che sia, anche per loro, di crescita. “La società punta ad organizzare staff che durino nel tempo, generando processi formativi e di confronto costante, che facciano crescere i singoli e l’intero club. I tecnici non vanno messi sotto pressione, ma bisogna avviare con loro un processo di condivisione”.

 

Il tutto senza dimenticare che per bambini e ragazzi c’è una vita anche fuori dal campo: “Fare più attività è sempre una cosa bella e preziosa. La scuola viene prima di tutto, anche il catechismo è importante, ma pure una bella esperienza calcistica ha il suo valore per la crescita. L’importante è che l’attività sia fatta con qualità. Le soluzioni per fare coesistere tutto ci sono. Chi viene da noi deve essere consapevole di prendersi un impegno di rilievo al quale bisogna essere fedeli”.

 

Il nemico numero uno non sono le sconfitte, ma l’abbandono sportivo precoce. Abbiamo una grande responsabilità. Se un ragazzo smette troppo presto le colpe non sono sue, ma degli adulti: società da un lato e famiglia dall’altro. Questo è il fallimento più grande al quale si può andare incontro. Per non correre il rischio bisogna garantire ai giocatori dei settori giovanili un’offerta di qualità, divertente, coinvolgente e formativa, che contenga ambizioni e obiettivi. Se il sogno non si realizza bisogna aiutare i ragazzi a crescere ulteriormente nella ricerca di nuovi obiettivi, perché la vita va avanti”.

 

 

 

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