“Quello passato è stato uno degli anni più duri in assoluto per la nostra società. In ambito giovanile non siamo riusciti a fare né giovanissimi né allievi. Operare in un bacino come il nostro, dove figurano realtà come Sarnico, Franciacorta, Valcalepio, Villongo e Iseo non è affatto facile. Ci siamo focalizzati su prima squadra e juniores, mentre dagli esordienti in giù è materia della Polisportiva: siamo due società diverse. Fui tra i fondatori nel 1978, poi quando smisi di giocare mi defilai. Abbiamo visioni e obiettivi diversi”.
Roberto Tengattini non nasconde le difficoltà incontrate dal suo Paratico e le analizza così: “Prima del Covid gli juniores arrivarono in finale al Trofeo Bresciaoggi. Era accaduto anche qualche anno prima. Due medaglie d’argento significative. Anche la prima squadra stava facendo benissimo: prima del lockdown eravamo secondi dietro al Piancamuno, poi abbiamo perso dei pezzi e ci siamo ritrovati con una rosa ridotta per varie ragioni: paura del virus, passione calata, impegni famigliari e di lavoro. Siamo ripartiti nel segno dei giovani e così è difficile ottenere risultati, anche se la qualità non manca”.
La soluzione? Il porta a porta. “Mi sono dovuto rimboccare le maniche, operando alla vecchia senza vergogna, suonando i campanelli per provare a rinforzare il gruppo”. Una strategia che ha dato i riscontri sperati. “Eravamo in difficoltà, ma i nuovi innesti hanno dato la scossa. Su 6 partite ne abbiamo vinte 5, poi a dicembre abbiamo preso Gora Amar, acquisto fondamentale per scongiurare il pericolo della retrocessione. Alla fine il bilancio è stato positivo. Con quella rosa fin dall’inizio avremmo potuto trovare un posto nei play-off”.
Dal punto di vista sportivo, tuttavia, la dimensione del Paratico è quella attuale. “Credo che la nostra categoria sia la Seconda. Magari si può provare a mettere il naso in Prima, ma non oltre. I costi aumenterebbero in modo esponenziale. In passato abbiamo fatto perfino la Promozione, ma era un altro mondo. Le soddisfazioni più belle le abbiamo raccolte balzando dalla Terza alla Seconda con una squadra composta dai ragazzi del paese. Anche nella passata stagione lo zoccolo duro era nostrano: parliamo di 14 elementi, numeri importanti”.
Tengattini ricopre il doppio ruolo di presidente e direttore sportivo. “Quando cedemmo la Promozione all’Adro mi chiamò il Sindaco per convincermi a guidare la società, promettendo di darmi una mano. Presi le redini del Paratico riportando qui i ragazzi che giocavano fuori. Abbiamo vissuto stagioni intense: siamo saliti e poi retrocessi all’ultima giornata, poi risaliti nuovamente. Il bello è che abbiamo giocato sempre all’insegna della territorialità e dei giovani. Tra i ricordi più significativi mi viene in mente il periodo in cui allenavo gli Allievi. Avevo un ragazzo che studiava al seminario di Bergamo. Andavo a prenderlo al mattino, lo riportavo e poi andavo a giocare”.
Già, perché Tengattini è stato a lungo un calciatore dilettante. Sarnico, Rogno, Capriolo, Fontanellese, Orsa, Grumellese, Virtus Cazzaniga, Travagliato, Capriolo e ovviamente Paratico le tappe della sua carriera. “Il punto più alto l’ho toccato quando sono stato aggregato al Crema in Serie D, scenario che non si è concretizzato perché era necessario allenarsi il pomeriggio ed io non potevo permettermi di perdere il posto di lavoro. La paga era buona ed ero assicurato. Oggi quella scelta mi garantisce la pensione, mentre altri che hanno preferito la via del calcio sono costretti, nonostante l’età, a fare professioni di vario genere per arrivare a fine mese. Tra i ricordi più belli ci sono anche alcuni allenamenti fatti con l’Atalanta quando militavo nella Fontanellese”.
Tempi indimenticabili, che coincisero con un’amichevole da ricordare. “Il mio mister era il mitico Mario Mantovani, la persona che ho apprezzato più di chiunque altro nel mondo del calcio. Un giorno entrò negli spogliatoi e ci disse che il giovedì avremmo avuto una sfida importante. Pensavamo ad avversarie come Cremonese, Brescia o Atalanta. Quando annunciò l’amichevole con il Milan di Sacchi non gli credeva nessuno, nemmeno i dirigenti, ma era tutto vero. Mario era amico di Italo Galbiati, che all’epoca era nello staff rossonero. Era riuscito a far fruttare quel contatto. Fece montare delle tribune a bordo campo, arrivarono 6-7 mila spettatori. Il primo tempo finì solamente 1-0 per loro, ma non ci fecero vedere il pallone. Mantovani mi chiese di marcare a uomo un certo Ruud Gullit. Mi disse che non doveva segnare e fu così, anche se perdemmo 5-0. Ho a casa la sua maglia numero 10. Ebbi un battibecco con Ancelotti dopo una mia entrata con la gamba un po’ troppo alta su Donadoni. Carlo si vendicò facendomi un fallaccio. Non l’avevo fatto apposta, sono sempre stato un tifoso sfegatato del Milan. Una settimana dopo vinsero il derby e subito dopo lo Scudetto a Napoli. Erano una squadra impressionante, indecifrabile”.
Anche Mantovani era un fuoriclasse: “Quando andavamo in ritiro ci portava a Messa, poi ci faceva conoscere tutto il paese. Con lui mi sono sempre trovato benissimo. Al mio matrimonio fu l’autentico animatore della festa. Sul pullman teneva il microfono in mano e faceva cantare tutti. Siamo molto amici, aveva creato un ambiente favoloso. Credo che potesse e dovesse fare altre categorie. Ha scoperto Damiani e molti altri talenti”.
Il passato si mescola al presente, con la passione a fare da filo conduttore: “La mia speranza – conclude Tengattini – è trovare sostegno sia in termini di figure dirigenziali sia di sponsor. Io non sono un vero presidente, ho altre caratteristiche e ambizioni. Mi tengo sempre aggiornato come allenatore, ma mi vedo nei panni di direttore sportivo”.
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