Bambini: "Sogno un Montirone in Prima. Il nostro calcio va rivisto, non è a misura di giovani"

“Ho giocato a livello dilettantistico, ma ho smesso presto per ragioni di studio. Diversamente sarebbe stato difficile conseguire due diplomi e due lauree. Il lavoro, poi, mi ha sempre portato in giro per l’Italia. Nonostante tutto sono sempre rimasto vicino al calcio e sarà sempre così”.

Parola di Giambattista Bambini, presidente del Montirone. Nel suo viaggio dal campo alla scrivania c’è stato, nel mezzo, un periodo indimenticabile in panchina. “Il primo approccio dopo aver appeso gli scarpini al chiodo fu come allenatore. Avevo militato nella Bagnolese come giocatore, quindi mi chiesero di occuparmi della juniores. Qualche anno dopo, siccome Leno è il mio paese, non potei dire di no alla proposta di Gilardi per allenare i giovanissimi”.

Il progetto ricordato con maggiore soddisfazione, tuttavia, è quello imbastito con Francesco Vincenzi. “Creammo la scuola calcio a Bagnolo, passando da 27 a 300 ragazzi. Eravamo affiliati al Milan. C’erano anche Franchino Bertoloni, Angelo Danotti, Luca Rampini, Edoardo Tacchini, Fabio Bertoni, Franco Lupi, la dottoressa Corberi. Un grande staff. Ottenemmo risultati importanti nei campionati e portammo parecchi ragazzi in squadre professionistiche, poi ci fu la fusione con la Bagnolese, ma arrivarono contrasti con chi gestiva la prima squadra. Avevamo giocatori di qualità, ma non venivano sfruttati. Ci separammo e finii al Real Dor, poi alla Voluntas nell’ultimo anno di Clerici. Ero interessato a rilevarla per farne il bacino ideale di Castiglione e Rezzato, dove ero in contatto con Gheda e Musso, ma non fu possibile”.

Il presente si chiama Montirone: “Siamo una realtà piccola, che purtroppo è costantemente saccheggiata in ambito giovanile dalle società vicine. Mostrano il biglietto da visita dei regionali e conquistano i genitori. Abbiamo buoni rapporti con il Ghedi. Affiliazioni? Meglio lasciar perdere, perché costituiscono semplicemente la vendita di un marchio. Il Brescia, poi, mi ha deluso molto in questi anni”.

Secondo Bambini bisogna porre fine alla dispersione dei giovani. “Il calcio è soprattutto sociale, ma ce lo dimentichiamo tutti. Io avevo spinto molto con Alberto Pasquali perché la Lnd creasse una categoria in più in uscita dagli juniores: serviva un Under 21. C’è una piaga alla quale non si riesce a porre rimedio: troppi ragazzi vanno a fare gli amatori e abbandonano il calcio federale troppo presto. Il motivo? Abbiamo sviluppato un sistema che dà grandi delusioni, che smorza ambizioni, aspettative e gioia. A Leno allenavo dei ragazzi che tornavano indietro dal Brescia, dove avevano perso il sorriso. La passione per loro era già stata disintegrata. In tantissimi, poi, iniziano l’università e mollano il pallone. Cercano un impegno più flessibile, coinvolgente, che gli permetta di godersi anche tempo libero e amicizie”. 

Sull’impiego obbligatorio dei giovani in prima squadra – recentemente rivisto dalla federazione – Bambini non ha dubbi: “La tendenza ad anticipare a tutti i costi l’approdo in prima squadra ha fatto più male che bene, è stata eccessiva. Anche nei settori giovanili c’è uno stile che non condivido. I bambini sono bambini, non sono calciatori. Se si esagera e si bruciano le tappe finiamo per stancarli nel giro di poco tempo. Il divertimento è la prima cosa. La storia delle quote necessitava di un correttivo. In Promozione non si vedevano mai giovani a centrocampo. Tutti portieri o esterni, per fare meno danni possibile. Ma che senso ha?”.

Il massimo dirigente del Montirone è un fiume in piena anche sugli argomenti riguardanti la gestione dei vivai: “Innanzitutto ritengo che a tutti i bambini e ragazzi debbano essere garantite le stesse possibilità. Chi si alza alle 7 di mattina per venire alla partita deve avere spazio. Le società incamerano le rette di tutti i ragazzi, non solo dei titolari. Il problema nasce da una cultura del risultato assolutamente distorta. Fino ai giovanissimi dovremmo essere molto più elastici sull’importanza della classifica, invece contra troppo. Per questo vedo pochissime squadre partire con il gioco dal basso, pochi dribbling, poco calcio offensivo, poca qualità. Il risultato conta troppo, non prendiamoci in giro, e sono le società a dettare questa linea”.

Nel corso dell’intervista riaffiorano spunti da tecnico: “A mio avviso la categoria più complicata da allenare sono gli esordienti. Lì bisogna essere davvero in grado di insegnare. I corsi per gli allenatori? Sono una farsa, un business. In prima squadra conta saper guidare il gruppo, gestire le dinamiche di spogliatoio. Chi ne è capace fa la differenza”.

Il bilancio sull’annata della prima squadra del Montirone non è esaltante: “L’obiettivo iniziale erano i play-off, che non siamo riusciti a raggiungere. Abbiamo perso tanti punti per strada e i numerosi infortuni, soprattutto in difesa, non ci hanno aiutati. Nel nostro girone mi ha impressionato il Concesio, ancor più del Real Borgosatollo, che non mi sembrava così forte ma che ha fatto leva sull’unione di un gruppo molto compatto e carico di entusiasmo. Niente male anche il Ponte Zanano, soprattutto in casa”.

Ora è tempo di guardare al futuro: “A medio termine vorrei salire in Prima Categoria, dove non siamo mai stati. Sto cercando un responsabile del settore giovanile. Ritengo sia un ruolo chiave: deve vedere gli allenamenti e guidare i mister, se occorre pure correggerli. Vorrei imbastire un progetto di 5 anni. A Montirone non c’è bisogno di sponsor, ma di gente appassionata che sappia operare a livello calcistico. Poi dovremo mettere mano alle strutture, sulle quali il Comune deve intervenire. I rapporti con l’amministrazione sono ottimi”.

Tra le società più stimate della provincia Bambini sceglie il Cazzagobornato: “Mi trovo molto bene nei rapporti con loro. Mandano i ragazzi che non trovano spazio a giocare altrove proponendo condizioni giuste, oneste. Altri preferiscono lucrare sui giovani o tenerli fermi, facendo danni sia alla loro società sia ai ragazzi stessi. Un’assurdità diffusa”.

Bruno Forza

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