Dal Corriere della Sera-Brescia
«Mi sento immortale adesso», dice Alessandro, al telefono. Ha 18 anni compiuti il 21 luglio scorso dopo essersi infortunato a una clavicola durante il ritiro con la prima squadra – è riuscito però a esordire in amichevole – a Torbole Casaglia: si chiama Posniak ma è bresciano doc a dispetto del cognome di papà David, nato e cresciuto in Sudafrica (giocando a rugby) prima di trasferirsi nella nostra città, una volta raggiunto il diploma, per iniziare a lavorare (ora occupa una posizione apicale alla Santoni spa) e trovare anche l’amore con Adele Lonati, la madre dei suoi 4 figli.
Quella parola “immortale”, tanto in voga tra i giovani che la inseriscono spesso anche nelle barre rap (a proposito, uno dei tre fratelli di Alessandro si chiama Daniel ed è un cantante molto conosciuto), non è pronunciata a caso. L’attaccante del Brescia Primavera, classico centravanti d’area che ed è già entrato nelle grazie di Gennaro Borrelli («Frate, quest’anno devi fare almeno 15 gol», gli ripete il bomber di Maran), ha vissuto gli ultimi due anni sulle montagne russe e solo ora sta iniziando a godersi il sapore dolcissimo di una rinascita.
Il 2 aprile 2022 Posniak va in doppia cifra con le rondinelle Under 16, segna al Vicenza ma nei giorni seguenti inizia ad accusare dolori mandibolari (inediti per la malattia che alberga in lui, senza avergli dato preavviso). I dentisti gli assicurano che non ha nulla, ma dopo gli allenamenti la fatica cresce: vomita sempre, ha dolori ovunque, non sta in piedi, subentra anche una diplopia all’occhio. Gli esami più approfonditi danno la sentenza: si tratta di un linfoma di Burkitt (un tumore maligno, ndr) leucemizzato al quarto stadio. Dopo 379 giorni trascorsi tra casa e ospedale, il ritorno in campo: il primo gol è arrivato poi alla penultima giornata della scorsa stagione contro l’Alessandria, quindi la conferma dodici giorni fa contro l’Albinoleffe cui ha segnato la rete decisiva per il 3-2 a favore della Primavera del Brescia alla seconda gara di campionato. Ora sì, è tempo di guardare al futuro. Ma il passato lo ha fortificato.
Alessandro, quella diagnosi è stata però la tua salvezza.
«Uso il termine immortale proprio per questo: i medici sono stati chiari con me, se avessi iniziato a curarmi una settimana dopo per me non ci sarebbe stato niente da fare. E il mio corpo ha risposto: le cure hanno funzionato sul mio corpo, non era scontato. Adesso mi sento più forte».
Sappiamo che sei rimasto senza calcio, e senza Brescia, per un anno. Ma quanto tempo hai trascorso in ospedale?
«Facevo dalla domenica al venerdì in ospedale per i primi due cicli di chemioterapia, che mi hanno fatto guarire: in teoria dovevo rimanere due settimane a casa, ma calavano molto difese immunitarie e spesso tornavo al Civile con la febbre alta. Insomma, in sei mesi, ne ho passati cinque in ospedale».
A chi senti di dire grazie?
«Alla mia famiglia e in particolar modo a mia madre Adele, è stata la mamma migliore al mondo: non mi ha mai lasciato solo una notte in ospedale, lei e la mia famiglia sono anche molto attivi nel sociale e mi rende orgoglioso (contribuiscono ai progetti de “La Zebra Odv”, che di recente ha organizzato La Zebra Run in città, ndr). Tra i medici, sono grato al dottor Porta e al dottor Schumacher (premio Bulloni lo scorso anno, ndr) : mi ha sempre detto le cose in modo chiaro, mi consigliava anche sul cibo che dovevo mangiare. Una guida che mi ha accompagnato».
Cosa ti ricordi del tuo rientro in campo?
«Fu con la Cremonese, entrai dalla panchina: avevo ripreso ad allenarmi qualche settimana prima. Il momento più bello è stato il primo gol con l’Alessandria, una liberazione. Ma è anche una grande soddisfazione, ora, fare allenamento doppio con Primavera e prima squadra (nel frattempo, Alessandro frequenta anche il liceo paritario Isaac Newton)».
La videochiamata con Del Piero è stata emozionante, ma c’è un giocatore del Brescia che ti ha sostenuto?
«Dimitri Bisoli, il capitano. Si è sempre dimostrato molto disponibile, allenarsi con lui adesso è gratificante».
Che tipo di attaccante sei?
«Un numero nove classico, dicono che somiglio a Inzaghi anche se il mio riferimento è Luis Suarez».
Il Brescia nel frattempo ti aveva rinnovato il contratto?
«Ero arrivato a 14 anni firmando per 4 stagioni dopo le giovanili alla Rigamonti e alla Academy Castenedolese (cui il padre David si è appassionato al punto da diventarne presidente, dopo la partenza del figlio, ndr) al compimento dei diciotto ho firmato per un’ulteriore stagione, quella in corso. Sono sempre stato rassicurato, ora devo mantenere la promessa fatta a Borrelli…».