De Stefani: "Ho visto bambini giocare con palloni di stracci e morire di fame per strada. Ho pianto, poi ho agito"

Lo scorso novembre l’istituto CFP Zanardelli di Brescia ha organizzato un incontro con l’alpinista Fausto De Stefani, evento che ha riempito di giovani l’auditorium Guido Carli dell’Istituto Abba Ballini, dove si è parlato di sport, solidarietà e senso della vita. Temi correlati al pallone dato che il calcio, come sappiamo bene, è molto più di un gioco.

Ci sembra doveroso, in occasione del Natale, amplificare la platea degli uditori della lezione di vita di un uomo saggio che ha saputo emozionare e ispirare gli studenti. Un “nonno” che ha molto da dire anche agli adulti.

De Stefani nacque ad Asola, nel Mantovano, nel 1952. È noto per le sue imprese sulle vette più alte del mondo, ma anche per la straordinaria attività svolta con l’associazione “Senza Frontiere”, con la quale dal 1996 porta avanti l’ambizioso progetto “Rarahil Memorial School, una scuola a due passi dal cielo”, che ha consentito la creazione di un complesso di istituti primari e secondari a Kirtipur, una cittadina nei sobborghi di Kathmandu, in Nepal.

“Quando si arriva su una vetta di 8mila metri ci si commuove – racconta De Stefani -, ma quelle sono lacrime che fanno bene. Quelle che fanno male si versano a valle, vedendo i bambini che muoiono di fame. Io ho pianto, poi ho scelto di darmi da fare”.

La scintilla del suo impegno nel volontariato parte da qui e, guarda caso, c’è un pallone sullo sfondo. Un pallone fatto di stracci. “Ricordo ragazzi di grande talento, poverissimi, che si sfidavano per strada, in Nepal. Il pallone non era né di cuoio né di plastica, l’avevano assemblato in qualche modo ammassando e legando tra loro degli stracci. Mi misi a giocare con loro, ma un signore del posto si avvicinò e mi disse di non farli correre, altrimenti avrebbero avuto ancora più fame e qualcuno di loro avrebbe vissuto dei giorni in meno. Aveva ragione. In quelle zone c’erano bambini disperati. Mangiavano cibo avariato nelle discariche. La tua vita non può essere più la stessa se vedi creature di sei, otto, dieci anni morte di fame per strada. La morte ti cambia, non puoi più essere quello di prima”.

La risposta di De Stefani a questa esperienza è stata forte, netta, attiva, e diventa fonte di ispirazione per i giovani, ai quali si rivolge sconfinando in temi di stretta attualità legati all’evoluzione della società odierna. Ne scaturisce un discorso naturale, una chiacchierata arricchita dalla curiosità e dalle domande degli studenti, che non hanno paura di portare sulle vetta di un dialogo di spessore il loro mondo, mettendolo in discussione. De Stefani lo abbraccia e non lo condanna, ma è limpido nella comunicazione e deciso nelle sentenze che un uomo di 72 anni può concedersi. “Si dice che gli amici veri si contano sulle dita di una mano. Penso che sia vero. Altro che i cento, mille o diecimila che avete sui social. A me piace guardare negli occhi le persone care, vivere relazioni concrete, potersi confrontare per come si è. I superuomini e le superdonne non esistono, non occorre apparire, è meglio essere. Cercate e trovate amicizie vere”.

Amicizie che nascono naturalmente nel mondo dello sport: “Purtroppo in Italia vedo sempre più bambini e ragazzi ben nutriti che non si muovono, anche se loro potrebbero eccome. Anzi, dovrebbero. Molti non praticano sport, arrivano perfino a non uscire di casa. C’è troppa comodità. Gli stimoli non mancano, sono oggettivamente troppi, anche tra le mura domestiche. Io tengo lo smartphone in un cassetto dal quale lo estraggo solo se serve”.



Concetti che la nostra redazione ha approfondito nelle scorse settimane nella puntata della rubrica “Vietato Perdere” dedicata alla dipendenza da internet, smartphone e videogame (leggi qui).

Il tema della ricerca della felicità è centrale. “Tutti vogliamo essere felici, la felicità è un risultato da perseguire. Per ottenerlo occorre fare delle scelte, che portano a percorrere una strada piuttosto che un’altra. Camminando in cordata è tutto più facile, da soli è più complicato. L’importante, tuttavia, è sempre fare un passo alla volta. In questo modo si può arrivare in alto in modo sano. La fatica? Credo sia necessaria per comprendere determinate cose che, senza provarla, resterebbero ignote”.

Poi un definizione di ricchezza controcorrente.Quella vera sta nel tempo vissuto con qualità, nei sentimenti autentici, nelle amicizie vere, nel donare. Nella mia vita ho raccolto 6 milioni di euro per i miei progetti benefici nel campo dell’istruzione. Non ho tenuto nulla. Non ho proprietà, vivo su una collina dove sto bene con grande semplicità. A volte mi chiedo cosa avrei potuto fare per me con quei soldi. Quando erano ragazzini i miei figli si arrabbiavano perché volevano il motorino ed io gli rispondevo che non era possibile acquistarlo. Anni dopo sono venuti con me in Nepal e hanno visto cosa abbiamo realizzato con il denaro raccolto. Si sono commossi, hanno capito e mi hanno ringraziato”.

Un’eredità speciale. “Lascerò loro quella scuola e ciò che la anima. Credo che a dare un senso all’esistenza di ognuno di noi sia ciò che resta su questa terra quando non ci saremo più. Per questo conta aver vissuto veramente, aver seminato qualcosa di prezioso. Occorre creare qualcosa e ogni tanto fa bene guardarsi allo specchio, chiedersi cosa si sta facendo della propria vita”.

L’appello non tarda ad arrivare. “Generate idee, create reti. Occorrono intuizioni per risolvere un sacco di problemi, ma anche la capacità di fare sistema, di collaborare. Osservando le nuove generazioni, tuttavia, ho l’impressione di scorgere tanta solitudine. Avete in mano uno smartphone che vi fa sentire iperconnessi con il mondo intero, ma è un’illusione. Unitevi, agite, non cedete alla lamentela, che non è mai una soluzione. Le armi migliori sono volontà, creatività e fantasia”.

Qualità che De Stefani ha saputo mettere in campo. “Mi sono focalizzato sulla scuola perché ritengo che sia il luogo più importante di una comunità. Penso che debbano essere belle, con aule decorate da artisti e giardini fioriti. Da bambino andavo a scuola a piedi. Lungo in tragitto, in primavera, contemplavo un tripudio di colori e profumi, poi raggiungevo la mia classe e se guardavo fuori dalla finestra vedevo soltanto cemento e ghiaia. Mi sentivo in prigione”.

La Rarahil Memorial School ha salvato migliaia di bambini ed ha costituito perfino un trampolino di lancio per talenti nepalesi. “C’è una ragazza che ho incontrato qui in Italia ad un convegno internazionale sulle malattie di ulivi e castagni. Era tra i relatori, esperta a livello mondiale. Non mancano dottoresse e dottori. Persone che senza la scuola sarebbero rimaste ai margini della società. Sono grandi soddisfazioni. Lo dico sempre: senza scuola non c’è futuro”.

Tra i maestri di De Stefani, ovviamente, c’è stata la montagna: “È una palestra silenziosa che ti riporta alle origini, all’essenza. Talvolta ti fa anche sentire l’odore della morte, che ti fa vedere e affrontare la vita in modo diverso. Io sono salito sulle vette per vivere rapporti autentici, non per lavoro. A causa del freddo ho perso persino delle falangi. Mio padre mi disse che avevo esagerato e aveva ragione. La sua generazione risolse problemi veri focalizzandosi sulla pagnotta da portare a casa, non sulle passioni. È importante saper scindere le questioni e rispettare i confini, agendo con equilibrio, ma guai a restare fermi. Dobbiamo essere attivi per noi stessi e per il mondo”.

Bruno Forza

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