Alberto Bergomi: "Nulla è impossibile se hai coraggio. Devo tutto a mia madre e alla fede"

“Ho sempre amato mettermi in gioco in tutto ciò che mi interessa, soddisfare la mia sete di conoscenza, sviluppare progetti, dare il massimo. La mia più grande passione è il calcio. Non ho potuto giocarlo a causa della mia malattia, ma ha accompagnato la mia vita fin da bambino”.

Alberto Bergomi è un volto noto del calcio bresciano. Protagonista da anni nel panorama dei tornei notturni e tifosissimo del Brescia, è impossibile inquadrare la sua figura dentro i confini di un ruolo preciso stilando un identikit strutturato. Il suo amore per la vita e l’entusiasmo che lo anima su mille fronti ne fa una persona libera, geniale, forte, la cui storia merita di essere raccontata.

“Se penso alla nascita della mia passione per il calcio mi viene in mente la sigla di Novantesimo Minuto. Inizialmente simpatizzavo per il Milan, ma il gol di Gritti ai rossoneri nel 1987 fece esplodere la mia fede per le Rondinelle. I ricordi più belli? Scelgo il 3-0 alla Juventus a Mantova, dove a fine partita mi ritrovai in mezzo al campo con il tizio della sicurezza che mi rincorreva. Il giorno dei giorni, però, credo sia Brescia – Bologna 3-0, la salvezza del 2002, una partita tesissima e memorabile. Quando penso ai tempi di Baggio viene ancora la lacrimuccia. È stata bella anche l’ultima cavalcata per la Serie A con mister Corini. Il 2-2 a Verona con il gol di Martella merita il podio delle emozioni più grandi. Avere la patente, poi, mi ha cambiato la vita, guido dal 1997. Essere autosufficienti è fondamentale. Ho un veicolo attrezzato, che mi ha garantito autonomia. Ho guidato fino in Ungheria per vedere il Brescia in Intertoto. Il settore disabili non esisteva, i miei amici mi portarono in tribuna in braccio”.

Tra le pagine più buie, invece, la recente retrocessione in C dell’era Cellino. “Fu un trauma. Fortunatamente venne scongiurata nonostante il verdetto del campo. Credo che il Brescia abbia bisogno di continuità nella gestione tecnica. Il settore giovanile, inoltre, non va abbandonato, perché il territorio bresciano ha un patrimonio immenso. È un delitto che l’Atalanta e le altre lombarde prendano i nostri migliori talenti mentre noi restiamo a bocca asciutta. Cellino dovrebbe dare più fiducia in chi gli sta intorno, individuare collaboratori di qualità in più aree. È troppo accentratore”.

Bergomi è anche il fondatore di un Brescia Club: “Si chiama Rondinelle Rotanti, creato nel 2019 insieme al mio amico Carlo Fiori. In questi anni ci siamo adoperati molto per la causa dei disabili. Inizialmente Cellino faceva pagare loro l’abbonamento a prezzo pieno: un’ingiustizia. Io ho le possibilità economiche, ma molti altri vivono con l’accompagnamento e non possono lavorare. Parecchie persone non sono più venuta allo stadio perché non se lo potevano permettere. Purtroppo da parte del presidente ho visto mancanza di rispetto per il territorio e i suoi abitanti. La gente se n’è accorta gradualmente. Cellino dopo la promozione in A era intoccabile, non potevi minimamente criticarlo. Ora è diverso. Io ho sempre avuto la stessa idea. Secondo me è dalle piccole cose che si vede della qualità delle persone. Nella mia vita ho girato molti stadi italiani e ho riscontrato molta più attenzione nei confronti dei tifosi in carrozzina. È assurdo che una società come il Brescia non fosse attrezzata in quest’ottica, con posti coperti e seggiolini per gli accompagnatori. Con il Comune siamo finalmente a buon punto, in dirittura d’arrivo per un cambio di rotta”.

Loggia per la quale Bergomi si è candidato consigliere alle ultime elezioni Comunali. “C’è stata la possibilità di schierarmi al fianco della Lega, ho conosciuto un mondo che non mi apparteneva e che mi ha stupito positivamente, incontrando persone interessanti e disponibili. Abbiamo perso, ma è stato un percorso che mi ha arricchito. Avevo sempre visto la politica come qualcosa di lontano, invece mi sono ricreduto su diversi aspetti. Futuro in questo settore? Vedremo, ora sono focalizzato su altro. Da 23 anni lavoro nell’azienda metalmeccanica di famiglia (Officine Bergomi ndr) e recentemente ho iniziato ad occuparmi di turismo aprendo due B&B sul Lago di Garda, a Desenzano e Padenghe. Una nuova avventura che mi stimola molto”.

Tra le passioni coltivate c’è anche lo scouting: “Durante la pandemia ho fatto un corso di osservatore calcistico online con la Football Academy. Ci facevano vedere le partite del campionato Primavera e stilare relazioni. Mi colpì Calafiori, vidi bene. Ogni partita mi piace, vado a vedere anche Nuvolento-Paitone o i tornei di paese: il talento è ovunque. Sono davvero tanti i giovani che, se avessero avuto un allenatore di un certo tipo o se fossero stati notati da un osservatore al momento giusto, avrebbero potuto fare altri percorsi calcistici”.

Le porte socchiuse del calcio sono state molte nel passato di Bergomi: “A Vobarno mi chiesero di fare il presidente, ma ero troppo giovane. Fare il dirigente sportivo, oggi, mi piacerebbe. Tornei notturni? Ormai sono esperto. Mi piace l’atmosfera che li anima e il rapporto con i giocatori. Abbiamo partecipato a 22 edizioni a Polpenazze, prima come Poliambulatorio Santa Maria, poi come Officine Bergomi. Seguo i ragazzi durante il campionato, poi organizzo la squadra. Per avere risultati occorre un blocco di giocatori che si conoscano. Quest’anno siamo arrivati ai quarti di finale. Da ragazzino partecipavo ai tornei a Barghe, Vobarno, Villa. A Polpenazze non siamo mai arrivati nelle prime quattro, una maledizione. Il livello aumenta ogni anno, con calciatori che arrivano anche da fuori provincia”.

La chiacchierata spazia dal calcio alla vita. Bergomi diventa semplicemente Alberto e si racconta a cuore aperto. “Ho una osteogenesi imperfetta, una malattia genetica che ti accompagna dalla nascita. La mia fortuna è stata avere una grande madre. Da 21 anni non c’è più e mi manca molto. Il dolore è grande, ma è superiore la gratitudine di averla avuta e di essere stato amato così. Non ho mai provato un senso di ingiustizia per la mia disabilità. Merito della mamma, che mi ha sempre aiutato a scorgere il lato positivo delle cose garantendomi belle esperienze. Non mi sono mai sentito discriminato, forse anche per il mio modo di pormi. Ho sempre avuto tante persone intorno a me. Piangermi addosso non è nel mio stile, la vita va presa con il sorriso e la mia è stata un’infanzia felice”.

Anche la fede ha giocato un ruolo importante. “Sono religioso, credo in Dio. Anche in questo ambito la fonte d’ispirazione è stata mia madre. Insieme abbiamo vissuto esperienze forti. Senza la fede non so dove sarei. È la mia forza, il mio appiglio nei momenti difficili. C’è un luogo chiave per me: Medjugorje, nota meta di pellegrinaggi in Bosnia Erzegovina. Ci andai per la prima volta a 6 anni. Mia madre all’epoca andava a Messa solo a Pasqua e Natale, ma voleva chiedere una grazia per me. Ci ha provato, senza successo, ma ha ricevuto molto di più. Là ha sentito qualcosa di forte che le ha cambiato la vita. Ha iniziato a frequentare la chiesa e a organizzare pellegrinaggi. È passata a vedere le cose in un modo nuovo, non era più focalizzata sul mio problema. Arrivò a dire: che il Signore mi mandi altri 10 Alberto. Ebbe altre due figlie dopo di me. Il rischio che anche loro avessero il mio problema c’era, ma andò tutto bene. Sono stato a Medjugorje 18 volte nella mia vita. Un viaggio che consiglio a tutti, un luogo unico”.

Con il padre il rapporto è di altro genere. “Lui è il classico imprenditore valsabbino, siamo molto diversi. Più schivo, chiuso, focalizzato sul lavoro. Gli voglio molto bene, ovviamente, ma abbiamo pochi interessi in comune”.

Anche Alberto è diventato papà: “È accaduto a 45 anni, un dono che non mi aspettavo. Io e Nok ci siamo conosciuti su una piattaforma online dieci anni fa. Andavo in vacanza in Thailandia con amici e lei lavorava in fabbrica. Dopo un anno e mezzo ci siamo sposati, poi è arrivato Michele. La paternità è qualcosa di speciale. Vista la mia situazione è motivo d’orgoglio, tutto è possibile se si ha coraggio. Con la determinazione si vince sempre. Michele aveva il 50% di possibilità di prendere la mia malattia. Quando ho saputo andava tutto bene sono stati i 5 minuti più belli della mia vita”.

Ora le principali speranze per il futuro riguardano il piccolo. Auguro a mio figlio di vivere in un mondo tranquillo, dove i valori non sfumino definitivamente, perché purtroppo li vedo sempre più annacquati. Sono un po’ preoccupato. Quando ero piccolo le persone erano diverse, c’erano più armonia, voglia di stare bene insieme. Oggi l’individualismo domina e siamo tutti intrappolati dentro lo smartphone. Auspico un’umanità in cui le relazioni contino un po’ di più. Cosa spero per me stesso? Vivere serenamente e poter aiutare gli altri. Magari rivedendo presto il Brescia in A. Forse un giorno andrò a vivere in Thailandia, dove la gente non ha dimenticato cosa conta nella vita e dove c’è senso civico. Ci vado ogni anno, noto un legame forte tra gli esseri umani, che qui non c’è più”.

Bruno Forza

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