5 e 85. Rispettivamente i minuti nei quali si è accarezzato un sogno, in cui si è pensato: “E se magari…”; e i minuti in cui la realtà delle cose è rimasta sospesa, un tempo fin troppo esteso, per poi palesarsi in modo spettacolare, dirompente, forse inevitabile. La Feralpisalò chiude nella stessa serata la sua esperienza torinese e di Coppa Italia, pagando la tassa granata col punteggio di 2-1. Uscendo con un passivo limitato, il minore possibile, ma anche con la consapevolezza della grande distanza esistente tra una neopromossa in B e una selezione di A che ambisce ad un posto in Europa. Una bella esperienza, tutto sommato, che dovrà servire a società e staff tecnico per carpire quanto l’organico attuale possa essere già all’altezza di un campionato difficile come quello cadetto, o quanto invece abbia bisogno di una integrazione tecnica dal mercato. Affare del diesse Ferretti e di mister Vecchi.
Società e allenatore possono comunque essere soddisfatti della figura fatta all’Olimpico Grande Torino, del carattere messo in campo e della buona organizzazione tattica dell’undici. Presentando la stagione e parlando della sua filosofia calcistica, Vecchi aveva detto: “Lo sapete, io a difendermi e basta non sono capace”. Contro il Torino di Juric non è stata difesa ad oltranza, o meglio, lo è stata in alcuni passaggi della partita, ma probabilmente non poteva essere altrimenti. La differenza tecnica e, particolarmente, fisico-atletica ha definito i contorni di una gara giocata in una metà campo, con i padroni di casa a gestire possesso (68%) e costruire occasioni (10 corner a zero, 28 tiri di cui 14 nello specchio contro i 5 di cui uno, il gol, avversari), e gli ospiti a provare a non schiacciarsi al limite della propria area, riuscendoci solo per alcuni tratti, per poi risalire velocemente appoggiandosi sul riferimento offensivo La Mantia. Il migliore in campo assoluto è stato Semuel Pizzignacco, il portiere degli sconfitti. Questo dice abbastanza dei canoni dell’incontro.
Eppure la Feralpisalò era passata in vantaggio, per giunta con un gran gol di Di Molfetta, un destro a giro la cui parabola aveva scavalcato l’interminabile Milinkovic-Savic, morendo nel sette. 5′ dopo, tuttavia, un tacco geniale di Radonjic regalava a Vojvoda lo spazio per aggiustarsi il tiro dell’1-1. Nel finale il missile di Ilic, col piede non suo (rarità in quanto parlasi di mancino), per blindare il 2-1. Nel mezzo lo show di Pizzignacco, parecchi gol mangiati e la coltivazione di una speranza: sgambettare Juric e guadagnarsi i sedicesimi contro un Frosinone di certo meno proibitivo. Non è andata così.
Poco da dire sull’approccio dei due allenatori alla partita. Scontato Juric col suo 3-4-2-1, con la qualità diffusa dei suoi interpreti, aumentata quest’anno dando ancora più scelta nel reparto di centrocampo (Ricci, tra i migliori, subirà gli attacchi di Lazio e forse altre big fino alla fine del calciomercato; in panchina c’erano comunque Tameze ed il giovane e molto promettente Gineitis). Schuurs è obiettivamente un lusso per una squadra dello status comunque importante del Toro. Sulla trequarti la qualità è inversamente proporzionale alla continuità degli effettivi, ma insomma non ci si può lamentare.
Per Vecchi invece servivano novità strategiche, dovute allo sbilanciamento delle forze presenti. Ecco allora che il 4-3-3 standard diventa un 4-1-4-1 con Carraro più schermo che play e i due esterni di centrocampo che vanno a sdoppiare i terzini in fase di non possesso, componendo una difesa a sei e schiacciando inevitabilmente la squadra al limite della propria area. A dire il vero è Compagnon che arretra sulla linea di Bergonzi, mentre dall’altro lato Guerra, quarto di sinistra sulla carta anche se non propriamente un laterale, lascia a Di Molfetta l’onere di affiancare Martella. A Hergheligiu e La Mantia il lavoro più gramo, sacrificio puro, l’uno a far da bostik per il campo, l’altro a far da riferimento avanzato unico e solitario. Si era alla seconda uscita ufficiale, in un palcoscenico di primissima fascia: Vecchi non avrà avuto troppi problemi a convincere i suoi a dedicarsi all’impianto tattico, molto dispendioso.
A pari bontà di scelta, sono poi sempre i giocatori in campo a marcare le differenze. I giocatori del Torino hanno messo in pratica l’assunto, insistendo a picconare la linea arretrata verdeblù fino al suo cedimento, ancorché tardivo. Sono servite due perle per aver ragione di Pizzignacco e staccare il pass per il turno successivo, peccato che gli effettivi granata abbiano saputo trovarle. Per 5 minuti è stato comunque bello pensare di battere Golia. Per 85 minuti è stato comunque bello crederci. Ora servirà focalizzarsi su quello che rimane per continuare a scrivere la propria storia: esordio in campionato, ma anche campagna estiva di rafforzamento. Che ha bisogno di nuove scintille.
Matteo Carone