Fedrizzi: "Allenare al Brescia è un sogno. I vertici dell'Aiac devono ascoltare la base"

Inizia oggi il nostro ciclo di interviste dedicate agli allenatori. Si parte dal presidente provinciale dell’Aiac, Andrea Fedrizzi. Vice allenatore degli Under 17 del Brescia con lunghi trascorsi nel panorama dilettantistico, ha portato una ventata di aria nuova ai vertici dell’associazione, da dove manda messaggi nitidi a Coverciano senza giri di parole.

“Mi sono candidato a ricoprire questo ruolo proprio per trasmettere con chiarezza le esigenze degli allenatori ai vertici dell’associazione – sottolinea Fedrizzi -. Mi tireranno le orecchie? Pazienza, magari smuoveremo le acque. Troppo spesso si fa un gran parlare, ma alla fine le cose difficilmente cambiano. Dare la scossa, quindi, è utile, può essere da stimolo per crescere e migliorare”.

Fedrizzi parla con cognizione di causa: “In questi anni ho notato che la Federazione e i capofila nazionali dell‘Aiac tendono a sottovalutare le istanze dei territori. C’è scarsa percezione dei problemi reali, gli si dà poco peso, invece bisognerebbe porsi in ascolto. Io parlo per esperienza perché ho trascorso una vita tra i dilettanti. Da bambino ho avuto la prima testimonianza del potenziale di questo sport all’Epas, una grande famiglia che mi ha accolto in un periodo difficile della mia infanzia. Da adulto ho militato in Seconda e Terza Categoria. Ho smesso a 34 anni a causa di un infortunio, ma sarei andato avanti perché giocare è la cosa più bella. Ho iniziato subito ad allenare Allievi e Juniores. Ho cambiato parecchie squadre, perché non trovavo quello che cercavo a livello di dedizione, organizzazione e qualità”.

Volta, Bettinzoli, Pendolina, Real Valverde, Mompiano, Uso United, Rigamonti e Vighenzi le tappe del suo percorso in panchina. “Alla Pendolina incappai nel mio primo esonero dopo tre mesi di Juniores. Mi diedero una raccomandata a mano. L’ho incorniciata e messa nel mio ufficio, è stata uno stimolo importante. I ricordi più belli li ho lasciati a Bovezzo e soprattutto a Padenghe, dove ho trovato autentica professionalità e persone di rilievo”.

Poi un incontro chiave: “Ho conosciuto Davide Bersi al corso Uefa B ed è nata un’amicizia impreziosita da una stima reciproca. Sapeva che mi sarebbe piaciuto allenare in prima squadra e mi ha coinvolto nel suo staff al Real Dor. Un’esperienza durata poco, ma il nostro sodalizio è continuato e sfociato nell’opportunità di allenare nel settore giovanile del Brescia. Questo è il secondo anno e devo ammettere che allenare nella società di riferimento della propria città è qualcosa di unico“.

Parallelamente dal 2016 ha avuto inizio l’avventura all’interno dell’Aiac. “L’ex presidente Dosselli mi chiese di entrare come consigliere. Nel corso del tempo ho sviluppato il desiderio di provare a fare qualcosa che potesse dare voce e sostegno agli allenatori, in particolare nei dilettanti”.

Tutto questo con idee di spessore da portare avanti. Ritengo che il meccanismo di accesso ai corsi per ottenere le qualifiche sia da rivedere completamente. Dovrebbe dare possibilità a tutti di iscriversi. Io toglierei le graduatorie e pretenderei massimo impegno e risultati in una seconda fase. La formula ideale sarebbe quella di un percorso a step, con qualifica base e livelli che si sbloccano via via nel percorso di crescita, che a seconda del gradino raggiunto darebbe accesso a determinate categorie. Nel mondo anglosassone funziona così. Anche in Spagna c’è grande apertura rispetto a noi. È una strada che garantirebbe meritocrazia e maggior peso alle qualifiche”.

Il tutto senza dimenticare la grande domanda di corsi da parte della base degli allenatori e delle società stesse. “Nel momento in cui la qualifica diventa un obbligo occorre organizzare una mole superiore di corsi. Le società ne hanno estremo bisogno, soprattutto in ambito giovanile. C’è necessità di licenze C, se possibile mantenendo le province più grandi separate tra loro. Accorpare Brescia e Bergamo nei bandi è un errore. Limita le opportunità e innalza i costi per molti allenatori, che devono già sostenere spese e sacrifici non indifferenti per partecipare”.

La conversazione prosegue e varia su temi che sono costante oggetto di dibattito: L’allenatore può contare un 20%. In campo ci vanno i calciatori e sono loro a fare la differenza, ma è altrettanto vero che il tecnico ha l’enorme responsabilità creare l’amalgama ideale, generare organizzazione, trasmettere una filosofia di gioco e un modello educativo. Non è poco. Io collaborando con Massimo De Paoli e Adriano Cadregari ho potuto aprire gli occhi su tante cose. Mi hanno insegnato ad avere un metodo. È stata una fortuna trovarli sulla mia strada”.

Tra i big bresciani impossibile non soffermarsi su De Zerbi“Credo che la sua più grande abilità sia stata quella di rispettare i suoi tempi di maturazione facendo scelte intelligenti senza cadere in tentazioni. Ha pianificato nel migliore dei modi la sua ascesa. Chi sarà il prossimo? Impossibile dirlo, ma devo ammettere che nei vivai nostrani c’è davvero tanta qualità”.

Anche Fedrizzi, nel frattempo, non smette di sognare: “Non sono più un ragazzino, ma continuo a sperare di poter vivere di calcio un giorno. Ad oggi ho sempre combinato l’attività di allenatore a quella di commerciante di utensileria meccanica. Per l’associazione invece spero soprattutto di poter tornare presto a organizzare eventi formativi in aula e sui campi, vivendo quello scambio di esperienze e generando quelle opportunità di collaborazione che nascono dal confronto umano e culturale. Agli allenatori bresciani prometto che ci batteremo per un cambiamento nell’ambito delle qualifiche e per vedere riconosciuti dei compensi minimi garantiti per tutti, anche nei settori giovanili. Ai tecnici alle prime armi dico di non avere fretta. Se si hanno passione e motivazioni si può superare ogni ostacolo. Troveranno tante porte chiuse, ma li renderanno più forti”.

Infine un punto di vista probabilmente comune a molti allenatori, ma intriso di significato: “La cosa più bella di questo mestiere è rivedere i ragazzi che hai allenato dopo diversi anni. Sapere che giocano ancora e che magari hanno iniziato ad allenare pure loro dà una gioia profonda”. Trasmettere passione e garantirle un futuro, insomma. Un valore che va oltre ogni trofeo.

 

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