Dalle macerie alla solidità. Nuova Valsabbia, un decennio da incorniciare

“Era il 2013. Ereditammo una situazione a dir poco disastrosa. La società era indebitata e il Comune ci chiese di mettere ordine e risollevarla, perché la sua funzione sociale era importante. Io lavoro in banca, quindi misi subito testa e mani sugli aspetti finanziari, i più allarmanti. In ambito sportivo mi circondai di persone fidate, che potessero darmi una mano su vari fronti. Nei primi anni eravamo in quattro o cinque a fare tutto. Un lavoro enorme, che ci costringeva a restare al centro sportivo tutti i giorni fino a mezzanotte. Inizialmente non dissi nulla a mia moglie, ma il segreto durò ben poco. Quando lo scoprì si arrabbiò molto e aveva ragione: come si fa ad accettare la presidenza di una società sportiva senza condividere la decisione in famiglia? Le dissi che se fossi stato sincero mi avrebbe tarpato le ali fin da subito. Confermò, ma ormai era tutto fatto”.

Massimo Vecchia racconta così l’alba della Nuova Valsabbia, società letteralmente rinata e prossima a festeggiare il primo decennio del suo nuovo corso. Una realtà ridisegnata con una struttura aziendale, un’anima famigliare e una vocazione sociale, che oggi rappresenta un vasto territorio. “All’epoca eravamo in Seconda Categoria, ma fin dall’inizio posizionammo il focus sul settore giovanile. La prima squadra doveva costituire un traino e uno sbocco. Nel corso del tempo abbiamo imbastito un organigramma efficiente, con responsabili per ciascuna delle tre aree: prima squadra; logistica; settore giovanile. Ho puntato su persone che hanno il mio stesso credo e che conosco alla perfezione, armate delle competenze e delle doti umane necessarie per ottenere risultati operando in autonomia”.

Attualmente la prima squadra è in Promozione, dove lotta per salvarsi. “Affrontiamo la categoria con impegno e professionalità, ma l’obiettivo primario è divertirsi, non va mai dimenticato. Quanto alla classifica siamo sempre sintonizzati sulla salvezza. L’anno scorso arrivò alla penultima giornata. Mi piacerebbe soffrire meno e poter staccare la spina prima, anche per garantire spazio ai giovani e a chi emerge dal vivaio”.

Nei prossimi dieci anni Eccellenza possibile? “Chissà. Siamo una realtà ben organizzata. Probabilmente avremmo le forze, nel giro di qualche anno, per salire un ulteriore gradino, ma non è un pensiero che alberga nelle nostre teste. Qui si ragiona nell’ottica di un miglioramento progressivo. Preferisco operare in una dimensione serena, priva di stress, sana. Oggi siamo nel contesto ideale e cercheremo di mantenerlo con tutte le nostre forze. C’è chi è devoto alle scalate, io non credo sia necessario. Qui abbiamo investito sul lungo periodo e nell’interesse prioritario dei giovani. In molti sbandierano i vessilli della valorizzazione dei vivai, ma alla prova dei fatti sono pochissimi quelli che ci credono davvero. Quello del calcio dilettantistico è un movimento splendido, ma conserva al suo interno delle dinamiche che non mi piacciono”.

Il presidente punta il dito sugli eccessi: “Siamo dilettanti, e a questi livelli il calcio deve essere un hobby, una passione. Un conto sono i rimborsi spese, un altro le cifre che circolano. Ci sono giocatori che presentano richieste economiche da capogiro, davvero assurde. Nel Coordinamento dei Presidenti che nacque durante la pandemia affrontammo più volte il tema. Pensavamo che il Covid potesse rappresentare un momento di svolta, utile a stipulare un patto tra gentiluomini che potesse consentire di fissare un limite a questi compensi. Una volta tornati in campo, però, molti hanno investito perfino ciò che avevano risparmiato durante lo stop e la situazione è finita addirittura per peggiorare”.

Un segnale preoccupante secondo il patron valsabbino: “Il fatto è che se il tetto si alza non lo abbassi più. L’estate scorsa eravamo vicinissimi a un attaccante di spessore. Ci chiese 2.500 euro al mese, una cifra che corrisponde a un buonissimo stipendio e che è inaccettabile per un dilettante che gioca in Promozione. Abbiamo rinunciato, sia per ragioni etiche sia per preservare l’armonia del gruppo. È un peccato che il calcio sia diventato questo. Lo stesso discorso vale per i tornei notturni, dove si gioca solo per soldi. A Polpenazze non vado mai proprio per questi motivi”.

La rosa della Nuova Valsabbia è il classico mix generazionale. “Riteniamo giusto imbastire un’ossatura di giocatori esperti, fondamentali per mantenere la categoria. Accanto a loro inseriamo i nostri ragazzi e qualche giovane innesto proveniente dai club con cui collaboriamo. In rosa abbiamo tanti 00 e 01, che da altre parti vengono spesso defenestrati perché non sono più quote. I nostri sono in orbita prima squadra da tre-quattro anni, certamente agevolati dalla nostra filosofia, ma se sono lì è perché lo meritano e perché il club li ha fatti crescere come si deve”.

In che modo? “Abbiamo replicato nel vivaio la stessa attenzione agli staff tecnici che c’è in Promozione. Ogni squadra ha allenatore, vice e dirigente accompagnatore. Ci sono fisioterapista, insegnanti di motoria e un consulente esterno del calibro di Simone Susio, al quale affidiamo la formazione dei tecnici e il confronto costante sul loro operato. Sta facendo un grande lavoro a Lumezzane, società con la quale collaboriamo. Abbiamo legami di rilievo anche con la Feralpisalò”.

Il raggio d’azione della Nuova Valsabbia si estende ben oltre confini della valle: “Abbiamo cinque pullmini e un’auto, con un team di dodici autisti. Arriviamo a Toscolano, Calvagese e Gavardo, ma anche nei paesini di montagna come Pertica, Mura e perfino nella frazione di Livemmo, che non conosce quasi nessuno. Circa il 45% dei nostri bambini e ragazzi è residente a Sabbio, il resto viene da fuori. La nostra flotta per i trasporti è una vera e propria scelta strategica che si è rivelata vincente, come dimostrano i 250 tesserati. Le famiglie apprezzano, ormai lavorano entrambi i genitori e le società devono garantire supporto”.

La quota di iscrizione è assolutamente popolare: “Chiediamo 200 euro. Ovviamente non può bastare per coprire le spese e il sostegno delle aziende del territorio è vitale. Molte ci finanziano da tempo, sono ormai sponsor storici”.

Il tallone d’Achille è sulle strutture. “Non si direbbe, perché il nostro centro è bellissimo, ma avremmo bisogno di un campo in più. Temo che sia impossibile realizzarlo in quest’area. Ci sono un campo a 11 e uno a 7, otto spogliatoi, segreteria, sala consigliare, infermeria, palestra, ma l’ideale sarebbe avere una tribuna centrale con due campi ai lati, come a Castegnato. Gli spazi, infatti, sono ridotti: abbiamo dovuto avviare collaborazioni con gli oratori di Barghe e Sabbio per alleggerire la pressione sui campi. Lì si allena buona parte dell’attività di base”.

Il Comune è al fianco dei gialloverdi: “I rapporti con l’amministrazione sono eccezionali. Lavoriamo in simbiosi. Il centro sportivo e le sue utenze sono a carico del municipio. A noi spetta tenerlo attivo, funzionante e rinnovarlo, per questo abbiamo inserito nel gruppo di lavoro anche due operai in pensione che conoscono ogni angolo e ogni bullone dell’impianto. Domenico Montini e Giuliano Ghirardi sono il classico esempio di chi lavora nell’ombra facendo cose fondamentali. Un discorso simile vale per Gigi Tononi, anche se in altri ambiti. Definirlo direttore sportivo è limitante, è una colonna della Nuova Valsabbia. Giorgio Baruzzi e Ivan Manini, vicepresidente e team manager sono altri profili indispensabili”.

Vecchia non ha dubbi sulla dote più importante che deve possedere un presidente: “Trovare validi collaboratori non è facile di questi tempi. Chi dirige una società sportiva, un’azienda o un’associazione deve saper prendersi cura delle persone, motivarle, valorizzarle, mantenere un gruppo compatto. Il mio limite, forse, è quello di affezionarmi troppo. Tendo a vedere il club come una grande famiglia, ma allo stesso tempo sono risoluto quando occorre tagliare i rami secchi che possono soffocare la pianta e comprometterne l’esistenza. L’armonia viene prima di tutto”.

Bruno Forza

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